L'Amletico

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A briglia sciolta sul tapis roulant

Chi volesse ripercorrere la storia delle palestre nell'ultimo mezzo secolo potrebbe utilmente osservare le gambe di un diva degli anni cinquanta come a volte ce le mostra la televisione e confrontarle con quelle di qualsiasi attricetta dei nostri giorni.

La recente storia delle palestre è andata infatti di pari passo con quella delle gambe femminili nel loro passaggio dalla carne tremula di un tempo alle perfette muscolature di oggi, fenomeno questo che, a sua volta, si è andato via via manifestando in perfetta coerenza con l'evoluzione delle società occidentali. Da quando il tema della fame è stato soppiantato da quello della salute e, a cascata, ha preso forma tutta una serie di bisogni e di comportamenti che hanno trovato nella palestra uno dei luoghi deputati al loro esprimersi.

La palestra, al tempo della carne tremula, era un luogo poco meno che malfamato dove i bulli del quartiere si ritrovavano per farsi i muscoli necessari per affrontare al meglio le risse attraverso cui si definivano le gerarchie nei ghetti delle periferie. Tant'è che al centro e nelle zone-bene, dove ci si azzuffava in altro modo per raggiungere lo stesso obiettivo di stabilire "cosa a chi", di palestre non ce ne erano. Con la conseguenza che gli uomini, non dovendo affrontare con il corpo le asperità della vita, replicavano pigramente con l'adipe e con una diffusa flaccidezza, la scarsa compattezza dei corpi femminili.

Scomparsa la fame fra i grandi temi sociali e subentrata al suo posto la salute - meglio nota come benessere - e divenuta meno affidabile, anche in periferia, la forza fisica per regolare i conti, le vecchie palestre maleodoranti e risonanti di trivialità hanno ceduto il posto alle nuove palestre tutte filodiffusione e aria condizionata e tutte migrate a diretto contatto con il nuovo ceto che le popola.

Queste nuove palestre - crogiuolo minore ma molto definito di una ben connotata realtà sociale - raccontano un'altra storia rispetto a quelle di un tempo anche se alcune rifiutano le nuove e più pertinenti denominazioni di fitness o health centre mantenendo il vecchio blasone - palestra e basta - probabilmente con la stessa civetteria che induce a mettere bene in vista nel proprio salotto la scolorita foto del nonno muratore che ha messo in piedi il giochino che ora consente di mandare i figli a studiare a Yale e a Oxford.

Sono tutta un'altra storia perché, se nelle vecchie palestre si stava sempre ben piantati sulle gambe a sollevare pesi per cercare di non farsi gettare a terra durante una lite, nelle nuove palestre dei quartieri alti e del centro - visto che per scongiurare i rischi connessi con lo stare al mondo non ci si deve più affidare al proprio corpo - è tutto un saltellare, un flettersi, un correre a briglia sciolta sul tapis roulant. Insomma, è tutta una ricerca non più di una inutile "forza" ma dell'indispensabile "forma" che sola consente di risolvere al meglio i problemi della vita quotidiana e regolare a proprio vantaggio i conti con il prossimo.

Lo spettacolo offerto oggi dalla palestra è molto variegato. C'è chi - non si sa se perché soffre di insonnia o perché ha intravisto davanti a sé il baratro di una giornata difficile da smaltire - è lì all'alba ad attendere l'incaricato delle pulizie e la sera a dargli appuntamento per il giorno dopo. C'è la guerra a bassa intensità per la conquista dell'attrezzo speciale dotato di poteri salvifici e per l'occupazione dei posti di prima fila al momento della lezione collettiva, alla ricerca di un segno di approvazione dell'istruttore e di una confortante restituzione della propria immagine da parte del grande specchio. C'è a volte il personaggio dotato di qualche carato di notorietà che mantiene sempre lo sguardo fisso davanti a sé nel timore di doverlo scambiare con chissà chi.

Quando ci si iscrive a una palestra si aderisce a una specie di consorteria monotematica che, per il tempo in cui dura la celebrazione dei riti comuni, azzera ogni differenza di ruolo sociale, di censo o di spessore culturale. E' l'apoteosi del darsi del tu, del chiamarsi per nome e poco importa se a incrociare questa intimità sono due 730 di cui uno è il moltiplicatore a due cifre dell'altro. Per non parlare degli istruttori che, nel paradiso artificiale della palestra, vedono trasformarsi in oggetto di amichevole attenzione la loro pelle scura probabilmente osservata con ben altri occhi al momento in cui si sono affacciati per la prima volta alla frontiera.

Quella della palestra è però una democrazia a tempo che si esaurisce quando si è fuori e, magari, ci si incontra su due lati opposti di un tavolo con un socio che chiede un prestito e un altro socio che quel prestito dovrebbe accordare. Diversamente da quanto accadeva nelle ruvide palestre di borgata in cui le regole che creavano una rigida gerarchia incentrata sulla potenza muscolare e sulla capacità di usarla si stabilivano dall'inizio e restavano inalterate anche dopo che si era lasciata la palestra e si era tornati a misurarsi sulla strada.

Ma sarebbe assurdo non ricordare che la palestra può avere anche altre anime. Accade quando a frequentarla c'è un'umanità che è lì per meno futili motivi. Come nelle palestre militari dove si anticipano gesti e pensieri che potrebbero sopravvenire al cospetto della morte o come nelle palestre scolastiche e nei luoghi di riabilitazione dove non si va per giocare con il corpo ma per dare forma al rito della precoce scoperta della propria rassicurante fisicità o del forse tardivo riscontro della propria scoraggiante fragilità.

Insomma, la palestra come ubi consistam di un'ampia gamma di piccole e grandi passioni umane, il luogo in cui corpo e anima giocano a rimpiattino pensando anche di darsi una mano. Un luogo che sicuramente sfugge all'ovvietà delle insegne luminose che a volte lo segnalano.