L'Amletico

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Chiese da scoprire: Santa Maria del Popolo

Luogo: Piazza del Popolo

Durata della visita: 20 minuti circa

Apertura: Tutti i giorni ore 7.30-12.30 / 16.00-19.00 Venerdì e sabato: ore 7.30-19.00 Dom: ore 7.30-12.30 / 16.30-19.00

Costo biglietto: ingresso gratuito

Imponenti, maestose, sfarzose, costruite in pietra o marmo, le chiese di Roma ricoprono d’un manto bianco il tessuto cittadino.

Sono quasi un migliaio, primato assoluto in tutto il mondo, ed hanno dimensioni e stili diversissimi tra loro: da quelle paleocristiane a quelle medievali, dalle rinascimentali alle barocche, fino ai più moderni edifici.

È proprio qui che risiede il grande fascino di Roma: nelle sue chiese, nella stratificazione culturale e nell' affastellamento di stili ed epoche diverse che coesistono dialogando fra loro, rendendo il tessuto urbano un unicum nel mondo, rapsodicamente cucito dal padre tempo.

Ma siamo consapevoli di questo straordinario patrimonio? Conosciamo realmente questa città che, nonostante tutto, resta per noi la più bella del mondo? Quella “Grande bellezza” sorrentiniana, di cui andiamo tanto fieri e che ripetiamo spesso come un mantra, la percepiamo davvero?

Lungi dal voler essere una guida esaustiva delle chiese di Roma, questi scritti hanno la sola intenzione di solleticare la vostra curiositas, spingendovi a varcare la soglia di questi edifici, alla scoperta dei capolavori che custodiscono gelosamente.

Perché dunque, fra tutte le chiese romane, cominciare proprio da Santa Maria del Popolo?

Questa piccola chiesa, per la sua straordinaria ricchezza, è emblematica di tutto il patrimonio storico artistico italiano: varcata la porticina d’ingresso vi ritroverete a percorrere alcune delle pagine più emozionanti della storia dell’arte, da Pinturicchio a Raffaello, da Caravaggio a Bernini, passando per Sebastiano del Piombo e Annibale Carracci.

La chiesa sorge nel luogo dove un tempo ci fu la tomba di Nerone, e la leggenda vuole che fosse costruita proprio per esorcizzare il fantasma del tiranno; l’opera venne finanziata nel 1099 dal popolo romano che le diede il nome, e venne poi ricostruita nel 1227 e nel 1472. La sobria ed elegante facciata è uno dei rari esempi di involucri quattrocenteschi a Roma.

Una volta entrati vi troverete a percorrere un tappeto di pietre tombali, che ricordano l’antica origine della chiesa. La luce è tenue, l’atmosfera sospesa; dirigetevi verso la navata sinistra e fermatevi dinnanzi alla seconda cappella. Prima di accedervi ammirate dall’esterno le perfette proporzioni architettoniche, l’armonia delle forme e l’equilibrio che emana questo piccolo luogo, interamente disegnato da Raffaello.

L’Urbinate venne chiamato dal ricco banchiere senese Agostino Chigi (per il quale aveva già affrescato la villa suburbana oggi nota come Farnesina), che gli commissionò la cappella di famiglia nel 1513.

Raffaello disegnò il complesso a pianta centrale, ispirandosi a Bramante e alle ricerche che stava compiendo in quegli anni per la costruzione della nuova basilica di San Pietro. Anche la cupola, mosaicata a cassettoni dorati, è stata realizzata su disegni del Sanzio; al centro il Dio creatore, fortemente scorciato, sembra ammonire lo spettatore con un gesto impetuoso.

Abbassato lo sguardo, un altro monito -vero e proprio memento mori- vi lascerà di stucco. Uno scheletro porta in alto lo stemma della famiglia Chigi, mentre una scritta in latino ne descrive il senso: Mors aD CaeLos (la morte nei cieli). Fate attenzione alle lettere maiuscole, che indicano la data di esecuzione del pavimento policromo, realizzato su disegno di Bernini; MDCL in numeri romani sta per il 1650.

Questo dettaglio della cappella è inserito sia nel romanzo Angeli e Demoni di Dan Brown che in una scena dell'omonimo film.

Attorno a voi i sepolcri della famiglia Chigi e delle nicchie con statue. Il ruggito del leone e il battito d’ali vi condurranno rispettivamente da Daniele nella fossa dei leoni e da Abacuc e l’angelo, entrambe scolpite da Gian Lorenzo Bernini, che terminò la costruzione della cappella a metà del Seicento. Completano la decorazione delle pitture di Francesco Salviati e la pala d’altare di Sebastiano del Piombo, importante pittore veneziano attivo a Roma in quegli anni.

Usciti da questo straordinario gioiello rinascimentale, lasciatevi guidare dal "rumore" caravaggesco, e dirigetevi in fondo alla navata, dove trova posto la cappella Cerasi. 

Un gruppetto di persone si accalca, strepita, vuole vedere, è attratto come un’ape dal nettare. La luce è spenta, qualcuno inserisce una moneta e… fiat lux! La piccola cappella si accende e veniamo immediatamente trasportati ai primi anni del Seicento.

Annibale Carracci e Caravaggio sono gli artisti più in vista in città; entrambi hanno appena svelato i loro primi lavori pubblici, destando grande ammirazione. Caravaggio aveva lasciato Roma a bocca aperta con le tele di San Luigi dei Francesi, mentre il Carracci aveva affrescato la volta della Galleria Farnese, sollevando grande meraviglia. Il lombardo, esponente di quella nuova corrente naturalistica, è un'artista rivoluzionario che meraviglia con la sua pittura dal vero, mentre il bolognese, appartenente ad una delle più importanti accademie, quella dei Carracci, è il portatore del classicismo emiliano. Due linguaggi molto diversi, che coesistono nella Roma di quegli anni entrando in contatto nella cappella voluta da Tiberio Cerasi -Tesoriere della Camera apostolica- e progettata dal Maderno.

Saulo, soldato romano di ritorno a Damasco, viene fermato da Dio, che lo intima ad interrompere le persecuzioni dei cristiani. Nella prima versione dell’opera, forse rifiutata ed oggi nella collezione Giustiniani-Odescalchi, Gesù appare sorretto da un angelo; nella seconda versione, ancora oggi in situ, l’intervento divino è simboleggiato da uno squarcio di luce che accieca Saulo, il quale, caduto da cavallo e folgorato, diviene finalmente Paolo, futuro martire cristiano. Di fronte a lui Pietro ha deciso di essere crocifisso a testa in giù, in segno di umiltà verso Gesù. Gli aguzzini alzano la croce, formando con l’apostolo una struttura chiastica, mentre Pietro si alza nel suo ultimo afflato vitale. Una grossa pietra in primo piano rimanda all’origine del nome Petrus, alludendo alla futura costruzione della Chiesa. I due martiri e patroni della città si presentano con forza dirompente, lasciandoci abbagliati come Paolo, toccando le corde vibranti dei sentimenti più reconditi, compassione e paura, clementia e timor.

L’Assunta del Carracci, con i suoi colori così aciduli, può sembrare agli antipodi della pittura (o)scura del Merisi, eppure Caravaggio guardava con ammirazione al bolognese, e quando nel processo da lui subito nel 1603 dovette citare i buoni pittori di Roma, dimostrò grande stima nei suoi confronti.

Percorrendo la navata destra si compie un salto cronologico di circa un secolo e mezzo indietro, con le cappelle Basso della Rovere e del Presepio. Qui le possenti figure caravaggesche svaniscono e i personaggi si fanno più minuti, aggraziati, e le scene luminose ed ariose. È la maniera dell'umbro Pinturicchio, elegante maestro del secondo Quattrocento, che in quegli anni era a Roma, dove aveva lavorato anche nella Cappella Sistina; e proprio Giulio II della Rovere, che fece costruire la grande cappella in Vaticano, commissionò a Pinturicchio e alla sua scuola la cappella di famiglia in Santa Maria del Popolo. 

Come in un grande manuale di storia dell'arte, in questa piccola chiesa si sfogliano pagine intense, che emozionano e sorprendono, e ci mostrano la complessità e la ricchezza del nostro patrimonio culturale.

Dobbiamo riappropriarci di questo patrimonio, conoscerlo, frequentarlo, entrarci in confidenza, per diventare veri cives, cittadini consapevoli del proprio territorio. Il prossimo fine settimana soleggiato, nel meriggio primaverile romano, divertitevi a gironzolare come turisti nella vostra città!