Dolor y Gloria: nelle viscere di Almodóvar
Il momento in cui un maestro di qualsiasi mestiere decide di rivisitare le sue esperienze non va mai sottostimato. E se ciò avviene per un mostro della settima arte questa è, senza dubbio, la grande opportunità per incastrare i frammenti vaganti di un'intera carriera.
Dolor y Gloria (Spagna, 2019) ritrae momenti della vita e della carriera di Pedro Almodóvar, che aiutano a comprendere l'inconfondibile stile del regista e toccano a fondo le convinzioni che l'hanno reso uno dei più grandi cineasti della contemporaneità.
In questa autobiografia non dichiarata, chi, se non Antonio Banderas, avrebbe potuto incarnare il suo creatore. Al cast si aggiunge inoltre la formidabile Penélope Cruz – anche lei non poteva mancare nel tributo al suo padrino artistico.
Qualcuno potrà dire che Almodóvar si sia contenuto, che i rossi ormai non siano così scarlatti, che i toni si siano sbiaditi, dopotutto anche lui si sarà placato. Che le droghe, l’eccessivo sesso scatenato e le morali religiose abbiano raffreddato la caliente sangre ispanica? Tutto apparenza!
Non troveremo il sudore di La Legge del Desiderio o l’iperbole dell’anima castigliana delle donne di Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio, ma Dolor y Gloria ci premia con una raffinatezza ellenica nel descrivere il nudo maschile, una sottigliezza di un bacio francese, che scatena desideri adolescenti tra due uomini ormai maturi, e l’ironica drammaticità nel parlare della dipendenza dalle droghe.
La sceneggiatura colpisce sin dall’inizio con l’immersione di Salvador che segna la dualità che permea tutta la trama. Senza dimenticare la scena finale, qualcosa che soltanto i grandi maestri sono in grado di produrre. La colonna sonora, poi, era il colore che mancava nell’arcobaleno almodovariano; lo sarà soprattutto per il pubblico italiano, che però dovrà aspettare ancora un po’ per vivere i dolori e le glorie nelle sale d’Italia.