L'Amletico

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Federica Di Benedetto, la fotografa degli specchi dell'anima

Se avete salito le scale del Teatro Eliseo alla prima di uno spettacolo, avrete sicuramente incontrato Federica Di Benedetto: pronta con la sua macchina fotografica a immortalare le celebrità. E se avete gusti eccentrici nel vestire, un po’ come molti artisti, può darsi che abbia scattato qualche foto anche a voi.

Ma gli scatti principali sono quelli del palcoscenico, quando coglie tutte le sfumature di uno spettacolo. Non temo di essere smentito se dico che molte persone sono andate a teatro dopo aver visto le sue foto.

"GIUSTO LA FINE DEL MONDO" di Jean-Luc Lagarce. Foto di Federica Di Benedetto

COUS COUS KLAN di Carrozzeria Orfeo. Foto di Federica Di Benedetto

"AUTOBIOGRAFIA EROTICA" di Domenico Starnone. Regia Andrea De Rosa. Foto di Federica Di Benedetto

In questo periodo di quarantena continui a fotografare?

Sto realizzando una serie di autoritratti con una maschera e dei guanti. Ogni foto rappresenta un personaggio diverso, ma sempre molto pop, eccentrico e completamente coperto. Perché il tema è l’isolamento e tutte le coperture a cui siamo costretti. La mia casa così diventa un teatro. E la maschera la mia mascherina.

Foto di Federica Di Benedetto

Dove l’hai comprata?

L’ho comprata a Venezia.

È lì che hai iniziato a fotografare?

Sì, nel 2007. Era il mio viaggio dopo la sessione autunnale, all’epoca studiavo medicina. Ero lì per conoscere meglio la città. Mi avevano regalato una guida di Corto Maltese, che si chiama Corto Sconto, e ho iniziato a seguire gli itinerari. L’idea di iniziare a scattare foto per ricordarmi di quello che avevo visto è stata naturale.

Prima esperienza?

Sì. Non avevo mai fotografato prima.

Hai comprato lì la macchinetta?

Mi ero portata una macchina analogica di quelle automatiche. Ma una volta finito il rullino mi sono comprata delle Kodak usa e getta. Mi sono divertita tantissimo. Due foto sono ancora appese vicino al mio letto.

Scatto di Venezia nel 2007. Foto di Federica Di Benedetto

E medicina?

L’ho lasciata al quinto anno. Avevo una media altissima, ma a partire dal terzo anno ho iniziato ad avere difficoltà a studiare.

È stata Venezia a farti cambiare idea?

Il viaggio a Venezia c’è stato molto prima del mio abbandono. Diciamo che man mano che medicina crollava, la fotografia e il teatro crescevano dentro.

Venezia. 2015. Foto di Federica Di Benedetto

Come ti sei avvicinata al teatro?

Nel periodo in cui studiavo per medicina (tra l’altro volevo fare la neuropsichiatra infantile) ho insegnato teatro in diverse cliniche psichiatriche. Mi interessava l’arte terapia. E così ho scoperto il Teatro Patologico. Lì ognuno dà il suo contributo: c’è chi cucina, chi recita, chi fa altro. Io allora ho detto al fondatore Dario D’Ambrosi: “Se vuoi, so fare le foto”. È così che ho iniziato a fotografare.

Il Trip di Don Chisciotte. Teatro Patologico. Foto di Federica Di Benedetto. Scattata con una mirrorless, la Nikon Z6. Che ha il vantaggio di avere uno scatto completamente silenzioso, mentre prima, con le refex, in scena doveva usare “un blimp, scatola che si mette sopra la macchina fotografica e riduce il rumore. Ma una volta montato, non dà la possibilità di cambiare le impostazioni”.

Difficile fotografare ragazzi con disabilità?

Sì, perché tu stesso pensi se sia puro o meno l’atto che stai facendo.

Ovvero?

Artefatto, costruito, che va a strumentalizzare la disabilità. Io ero dentro, facevo parte della compagnia.

Don Chisciotte con Paolo Gilberti (destra). Foto di Federica Di Benedetto

Alcune di queste fotografie le stai pubblicando nella rubrica Una foto di scena al giorno sulla tua pagina Facebook . Quale preferisci?

Medea del Patologico. Uno spettacolo che è andato in giro in tutto il mondo. È stato pure a Tokyo. Incredibile. Ti consiglio di vederlo.

Medea. Teatro Patologico. Foto di Federica Di Benedetto

Medea. Teatro Patologico. Foto di Federica Di Benedetto

Non solo foto di scena, ma anche dei camerini. Cosa vuol dire scattare una foto nel backstage? 

Le foto in camerino sono quelle che mi spaventano di più. Perché gli attori devono salutare tantissime persone e io in quella folla devo cercare di tirar fuori qualche scatto. Ma soprattutto: non devo dar fastidio.

Devi essere invisibile?

Esatto, ma è complicato. 

Glauco Mauri e Umberto Orsini nei camerini dopo la prima di Finale di partita. Foto di Federica Di Benedetto

Mi ha colpito quella di Glauco Mauri e Roberto Sturno. Come sei riuscita a scattare quella foto?

In quella occasione non ero riuscita a fare la foto prima dello spettacolo perché Glauco Mauri non vuole, ha bisogno di concentrarsi.

E allora?

Sono entrata in camerino mentre Mauri e Sturno erano insieme e gli ho detto: “Vi devo fare una foto allo specchio”.

Perché allo specchio?

Perché negli spettacoli precedenti l’avevo fatte mentre erano allo specchio e allora volevo proseguire in quel modo. Roberto Sturno mi prende ancora in giro, mi chiama “la fotografa degli specchi”.

Glauco Mauri e Roberto Sturno dopo Re Lear al Teatro Eliseo. Foto di Federica Di Benedetto

Non sono facili foto simili.

Assolutamente. Ma sono quelle più stimolanti. Perché nel backstage c’è un limite che non devi superare con gli attori, ma allo stesso tempo devi trasmettere autenticità. È quasi un reportage. Solo che il reportage a un artista è molto difficile da gestire, perché sono abituati a lavorare con la loro immagine e non vogliono essere colti in momenti in cui non sono in una forma perfetta.

Ti è capitato che ti abbiano detto di no a una foto? 

Di regola, prima di essere pubblicata una foto deve essere approvata. Il problema è che a volte le produzioni molte foto non le vedono neanche, perché pensano che ci sia già abbastanza materiale. E le fotografie rimangono lì, nascoste. 

Nei camerini sei stata mai respinta?

Sì, e ti senti annientato. Perché io non sono lì per un quotidiano, non devo vendere la foto. Non sono un paparazzo. A me è il teatro che chiede quelle foto.

E quale momento ricordi in particolare?

Uno positivo, durante un’intervista a Gaia Aprea per lo spettacolo Salomè. Eravamo in quattro nel suo camerino: io, l’attrice (che si stava truccando), un videomaker e la giornalista. Gaia aveva ricevuto un mazzo di fiori enorme. L’avevamo messo in un vaso, ma gli spazi erano stretti. Io mi sono girata e l’ho urtato. Tutta l’acqua è caduta a terra e ha rischiato di finire a contatto con la stufa, che era accesa! Il panico. E tutto questo a ridosso dell’inizio dello spettacolo. Ma lei è stata gentilissima, nonostante la tensione prima di andare in scena. Di una classe incredibile.

Gaia Aprea prima dell'inizio dello spettacolo Salomè. Foto di Federica Di Benedetto

Le foto nei camerini sono sempre in bianco e nero. Perché questa scelta?

Il bianco e nero non distrae. Il colore non è necessario. Parlano dell’autenticità.

Non solo foto nei teatri, ma anche altri progetti. Noce è arrivato in finale al premio MarteLive. Com’è nato?

La mia famiglia ha un noceto in Abruzzo. Ho sempre associato papà a un albero di noce. Perché l’ho sempre visto come un uomo forte. E inoltre la sua pelle era molto rugosa.

Come un guscio di noce?

Sì. Ti puoi immaginare quanto fosse contento di questo accostamento! (Ndr, ride). Il legame è: noce-frutto-io, noce-albero-lui.

Quale foto hai più a cuore?

Il mento di mio padre. Sembra una statua. Mi trasmette la sua forza.