Giulio Cesare di Daniele Salvo: il potere che sfigura il volto
Non ha la faccia Cesare, e neanche sua moglie Calpurnia. Il loro viso è una maschera di lattice corrosa dal potere e deformata dalla rabbia, tanto da diventare irriconoscibile. Se è vero che il volto è lo specchio dell’anima, qui i personaggi di Daniele Salvo non hanno più uno spirito: sono dannati come le figure dei quadri di Matisse, De Chirico e Magritte. Nulla potrà salvarli.
La storia della tragedia è nota: Cesare viene ucciso in una congiura e gli succedono Ottaviano e Marco Antonio. Meno noti sono i risvolti psicologici e le motivazioni che hanno portato i congiurati a un simile gesto. Nel ruolo del figlio adottivo, Gianluigi Fogacci è un Bruto che mostra tutta la sua drammatica irresolutezza. Ad affiancarlo sul palco Melania Giglio, nei panni di una Porzia di struggente intensità. Ma il padrone della scena non è né Cesare, né Bruto, né Porzia. È il Cassio di Giacinto Palmarini. La volontà di far valere le sue nobili origini (in confronto a quelle umili di Cesare), l’invidia del potere, la sete di vendetta e infine il tragico crollo dinnanzi alla sconfitta sono esemplari di un modo d’agire riscontrabile ancora ai giorni nostri.
In un Globe Theatre rivestito di metallo e pronto alla guerra per l’occasione, si alternano scene di combattimento a monologhi. Gli interpreti sembrano essere ovunque, ogni angolo del teatro è occupato dai 28 attori che ricoprono 45 diversi ruoli. Ma a rendere l’atmosfera elettrizzante è la voce di Melania Giglio, che accompagna i momenti più importanti con canti gregoriani, indossando un abito riflettente come quello dei Daft Punk.
Uno spettacolo che tocca da vicino. “Parla di noi, della nostra natura e del potere”, commenta il regista Daniele Salvo. “Di un popolo che cambia faccia e segue il miglior imbonitore”. Ma che è anche pronto a lasciarlo come ricorda Bruto alla morte di Cesare. “Il male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto insieme alle loro ossa.”