“Il padre” al Teatro Quirino: una vertiginosa finestra negli abissi della mente
Durata: 2 ore 15'
Prezzi: da 15 a 30€
Autore: August Strindberg
Regia: Gabriele Lavia
Un drappo rosso di velluto sbuca fuori dal palcoscenico del Teatro Quirino, spingendosi fino ai primi posti della platea. Il sipario è lì, visibile, diviso al centro da una stretta ed ampia finestra; ma da dietro incalza un altro sipario, quello dove vivono Adolf e Laura. In questo mare rosso sangue tutto affonda, tutto perde equilibrio. La suppellettile non ha punti fermi, i piedi di ciascun mobile stanno per essere inghiottiti dal violento vortice di accuse che scoppierà tra marito e moglie.
Adolf è un capitano di cavalleria con la passione per la ricerca, si diletta nell’indagare sulle meteoriti e sulla loro composizione per trovare in esse tracce di vita. Nel cercare forme di vita altrove, perde tuttavia di vista la sua e quella della sua famiglia. Decide infatti di spedire la giovane figlia in città, così che possa ricevere i migliori insegnamenti, senza però ottenere il consenso della moglie. La legge – afferma – gli dà il diritto di decidere sulle sorti della figlia e nulla la madre può in merito. Ma ciò che la legge non può dargli è un’esistenza serena, che la moglie gli toglierà, instillando in lui il dubbio sulla paternità della figlia.
Aggirandosi con passo felpato, strisciando come un serpente lungo il tappeto rosso del salotto in tempesta, Federica Martino (nella veste di Laura) avvelena lentamente il marito con la sua lingua biforcuta e tagliente, finendo per riuscire a trasformare le perplessità sulla paternità in un vero e proprio dilemma sulla vita. Solo la madre può essere certa dei propri figli, l’uomo no. A l’uomo non è dato saperlo e per questo è condannato all’incertezza. Se non può essere certo chi sia suo figlio, come può essere certo della sua stessa esistenza?
Scritta nell’Ottocento, l’opera di Strindberg presenta evidenti analogie con L’Amleto di Shakespeare, si interroga anch’essa su quel dubbio esistenziale riguardo a ciò che si è. Un quesito intramontabile, che qui scaturisce dalla questione circa la paternità, oggi superata grazie all’avvento della prova del DNA. In un’epoca allora dove tutto è sempre più certo, in cui si può sapere ogni cosa riguardo alla propria esistenza, la vera domanda da porsi dunque non è ciò che si è, bensì ciò che non si è.
Sull’incertezza, sul dubbio la salute mentale di Adolf inizia perciò vacillare, inghiottita dal mare rosso di insicurezze in cui la moglie l’ha affogato. Le finestre, le porte, la scrivania scompaiono. Rimane solo un lungo sipario rosso che avvolge Gabriele Lavia (Adolf), sprofondato nell’inferno dell’irresolutezza. “La volontà è la spina dorsale della mente” e la sua è stata spezzata con forza dalla moglie. La donna prevale pertanto ancora una volta sull’uomo. Onfale si è impossessata della clava di Ercole, Laura del potere di Adolf, della possibilità di farlo interdire e decidere lei sulla sorte della figlia. L’omicidio psichico si è compiuto. Il delitto perfetto è stato portato a termine.
Mito, teatro e vita reale si intrecciano ne “Il padre” di Strindberg, che prende le mosse da una vicenda personale accaduta allo scrittore svedese, ovvero il divorzio dalla baronessa Siri von Essen, da cui aveva avuto quattro figli, tre dei quali hanno rivestito un ruolo importante nella sua vita.
“Io amo lei, e lei ama me, e ci odiamo l’un l’altra, con un odio nato dall’amore” tracce autobiografiche in quest’opera se ne possono rinvenire diverse. Strindberg ebbe tre mogli ma le ripudiò tutte, fino a scrutare l’abisso della pazzia. Un’esistenza dannata, in cui non riuscì a imporsi e domare il gentil sesso. E questo aspetto Lavia riesce a mostrarlo con efficace trasparenza, il suo Adolf è remissivo, docile, cerca di prendere il sopravvento sulle donne che popolano la sua casa (ben quattro: la moglie, la figlia, la nuora e la tata) e di imporre la propria volontà con la forza: ma non vi riesce. Dona al suo personaggio un’incredibile profondità, che consente di sondare gli imperscrutabili recessi della mente umana.
Su quel sipario che si protende, Adolf è spettatore inconsapevole del suo deliquio; su quel sipario che lambisce la platea, il pubblico è testimone consapevole di aver assistito ad una magnifica messinscena.
Costumi: Andrea Viotti
Musiche: Giordano Corapi
Luci: Michelangelo Vitullo
Regista assistente: Simone Faloppa
Scene: Alessandro Camera
Produzione: Fondazione Teatro della Toscana