Il ritratto di Virginia Woolf
L’edizione italiana di Gita al Faro (To the Lighthouse. Einaudi, 2018) contiene un’introduzione all’opera firmata da Hisham Matar in cui viene raccontata la storia del più celebre ritratto di Virginia Woolf.
L’autore della fotografia era lo sconosciuto George Charles Beresford. Agli inizi degli anni 1900, Beresford dovette tornare dall‘India dopo aver contratto la malaria. Il suo rientro a Londra segnò la fine del mestiere di ingegnere e i primi voli nel mondo dell’arte. Decise di tentare la carriera di fotografo ritrattista e la modella ventenne dal profilo greco che a lui confidò il suo primo ritratto gli portò più che fortuna. Il ritratto di Virginia Woolf lo rese famoso, tant’è che un anno dopo Auguste Rodin varcò la soglia del suo studio, poi toccò ad un giovane Winston Churchill, poi Joseph Conrad…
Narra Hisham che Beresford ne ha fatte più fotografie, ma è stato il primo ritratto a piacere alla giovane Woolf. “In tutti e quattro ritratti, Beresford volle che la scrittrice posasse senza guardare l’obiettivo. Era ovviamente ispirato dai preraffaelliti. O forse, vuoi per i robusti e folti capelli raccolti in un morbido chignon, vuoi per la mandibola che disegna un arco ininterrotto dal mento vigile all’orecchio attentissimo, era il profilo della donna in posa a rievocare quei pittori vittoriani. Ciò che Beresford riuscí a catturare, e che invece gli sfugge nei tre ritratti successivi, è la profondità e ciò che promette, un’istintiva devozione alla realtà, a ciò che in seguito Woolf avrebbe definito – la luce bianca della verità –”.
Se capitate a Londra, non perdere l’occasione di visitare la National Portrait Gallery, dove sono stati conservati i negativi di Beresford, tra cui quello della Woolf.