Il viaggiatore vagabondo
Deve andare da Roma a Johannesburg, cioè a Sud. Parte e dove va? Va a Nord, a Londra o a Monaco, comunque al di là delle Alpi. Poi torna a Roma, non proprio a Roma ma su Roma. Se è una giornata di sole, dal finestrino dell'aereo vede il Colosseo e la cupola di San Pietro e, con qualche sforzo, cerca di immaginare dove possa essere la sua casa che ha lasciato molte ore prima, iniziando un viaggio che in concreto per lui comincia solo in quel momento. Se fosse partito da Roma direttamente per Johannesburg, ora sarebbe già un bel pezzo avanti e, invece del Colosseo e della cupola di San Pietro, dal finestrino dell'aereo potrebbe vedere l'Africa. Ma non è cosi. Perché lui non è uno che viaggia. E' uno che vaga.
Tutto questo non è strano. E' la regola dell'hub, in italiano "perno". Il perno intorno al quale ruotano i passeggeri che vagano da un aeroporto all'altro per fare in modo che gli aerei volino sempre pieni, o almeno più pieni possibile. Se un aereo rischia di viaggiare con dei posti vuoti, lo si dirotta verso un aeroporto dove è in attesa un manipolo di turisti giapponesi che possono essere utilmente aggregati alla compagnia. Come quando siamo in macchina e diciamo a chi è con noi "scusa, allungo un po' perché devo andare a prendere mio cognato".
Un "effetto collaterale" dell'hub è il low cost. "Se accetti di essere sballottato da un aeroporto all'altro, può anche darsi che io ti faccia uno sconto sul biglietto". Così ti dicono. A conti fatti sembra proprio una buona cosa, che consente a molta gente che non potrebbe mai permetterselo di andare a Tokyo, a New York e, con un po' di sforzo in più, fino in Australia.
Ma non è tutto oro ciò che riluce. Quando acquista attraverso Internet il suo biglietto che lo condurrà a spasso per il mondo, il viaggiatore che ha combinato insieme le due formule dell'hub e del low cost ha due prospettive. Attendere magari un anno fino a quando gli è forse passata la voglia di partire, o precipitarsi all'aeroporto perché l'aereo su cui, "al volo", gli è stato assegnato un posto all'ultimo minuto (hai detto "ultimo minuto?", parla correttamente, si dice last minute) sta già scaldando i motori sulla pista. Se vuole fare una cosa normale, cioè partire quando vuole e viaggiare dritto per dritto, deve mettere mano al portafoglio. Tertium non datur.
L'hub somiglia al gioco dell'oca. Si va avanti, poi si torna indietro, poi ancora avanti. Si transita per Mosca anche se si deve andare da tutt'altra parte, perché c'è una sconosciuta linea aerea russa che fa un ulteriore sconto ma, per complicati motivi, bisogna passare per casa sua. Gli Emirati Arabi ormai sono quasi una tappa obbligata. Chi non è mai stato a Doha o ad Abu Dhabi? In realtà è più corretto chiedere: chi non è mai passato per Doha o per Abu Dhabi? Oggi quasi tutti, per effetto degli hub, sono diventati dei grandi conoscitori di aeroporti. Delle varie città che toccano nel loro peregrinare intorno al globo non sanno nulla. Non dicono "ho visto Singapore, è una città molto interessante". Dicono "tu dovresti vedere che magnifico aeroporto c'è a Singapore!". "Ma Singapore com'è?". "Singapore? E io che ne so, io ero diretto in India". "Ma l'India non sta più in qua?". "Sì, e allora?".
C'è poi la faccenda del bagaglio. Se un viaggiatore lo perde andando direttamente dal posto A al posto B, è probabile che si riesca a recuperarlo con una certa facilità in uno di due aeroporti. Se invece per andare da A a B l'aereo passa per C e D, magari situati lontanissimi dai luoghi di partenza e di destinazione, il recupero del bagaglio finito, chissà, in Mongolia diventa una faccenda molto seria.
Fare confronti è sempre antipatico, ma non si può non ricordare che Cristoforo Colombo, quando ha deciso di scoprire l'America, rischiando non poco ha puntato dritto di fronte a sé e, più o meno, lo stesso hanno fatto Marco Polo e il suo gruppo. Per il medesimo motivo, i nostri antenati hanno tagliato l'istmo di Panama e hanno aperto il canale di Suez. Non avevano alcuna intenzione di tirarla troppo per le lunghe essendo costretti a passare per Capo Horn e per il Capo di Buona Speranza che non erano degli hub, ma il viaggio lo allungavano ugualmente di molto. Quelli erano però altri tempi e chi viaggiava non badava a spese, non come oggi che per risparmiare qualcosa si accetta di seguire le orme di Magellano e di Vasco da Gama costretti a fare lunghe deviazioni ma che, se avessero potuto, avrebbero sicuramente rinunciato ai loro giri intorno al mondo.
Uno può chiedersi: ma non sarebbe più logico puntare subito verso la meta? Meno carburante, meno ore di lavoro di piloti, hostess e steward, meno di tutto. Questa è una domanda ingenua, perché presuppone che a viaggiare siano le persone e che gli aerei servano a consentire a queste di farlo. Invece è il contrario. A viaggiare sono gli aerei e le persone servono a riempirli in modo da coprire le spese del carburante, dei piloti, delle hostess e di tutto il resto, e da guadagnarci sopra.
L'idea, anche se strana, può sembrare vantaggiosa ai viaggiatori che - se sono bravi a incastrare a dovere tratte, giorni e orari, e se accettano di partire a ore inverosimili e di bivaccare per mezze giornate in una serie di aeroporti di transito - riescono con poca spesa a seguire le orme di Marco Polo e di Cristoforo Colombo.
Dal fondo della sala si alza il solito omino. "Ma se le cose stanno così", dice, "allora immaginiamo - tanto per ragionare - di applicare la stessa logica ai trasporti all'interno di una città. A Milano, ad esempio. Fra Piazza del Duomo e la Stazione Centrale c'è sempre un gran traffico di viaggiatori mentre sulle linee - ipotizziamo che ce ne siano - che vanno dal Duomo a San Donato Milanese e da qui alla Stazione Centrale il traffico è scarso. Perché non far transitare per San Donato - facendone un hub - una parte del movimento passeggeri Duomo - Stazione? Magari low cost? E' un'idea, no?".
"Sul piano strettamente economico una cosa del genere avrebbe un senso" gli rispondono.
"Ah sì?" fa l'omino sempre dal fondo della sala.