L'Amletico

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Joaquin Phoenix è qui!

Illustrazione di Chiara Muscas

La notte del 19 gennaio 2020 Joaquin Phoenix si aggiudica il premio come miglior interprete maschile ai SAG Awards. Ritirando la statuetta, si rivolge ai colleghi seduti in sala, candidati insieme a lui per la vittoria, e inizia con il raccontare un aneddoto su Leonardo Di Caprio:

Quando iniziai di nuovo a recitare e mi recavo alle audizioni, mi ritrovavo sempre contro altri due ragazzi nel provino finale. Perdevamo sempre contro lo stesso ragazzino. Nessun attore pronunciava il suo nome, ma tutti i direttori dei casting sussurravano ‘È Leonardo! È Leonardo!’. ‘Ma chi è questo Leonardo?’ ci chiedevamo… Leo, sei stato un’ispirazione per oltre 25 anni, per me e per tante altre persone, ti ringrazio veramente tanto.”

Poi sposta lo sguardo su Christian Bale.

“Christian, ti impegni nei tuoi ruoli in modi che io posso solo sognare. Non fai mai una brutta interpretazione. È una cosa che mi fa infuriare. Vorrei che facessi schifo almeno per una volta. Sarebbe fantastico ok?”

E rivolgendosi ad Adam Driver dice:

“Adam, ti ho osservato negli ultimi anni. Ti sei esibito in queste meravigliose performance, incredibilmente profonde e ricche di sfaccettature. Mi hai così commosso e in questo film sei devastante. Dovresti essere qui.”

L’attore poi cerca dove sia situato Taron Egerton.

“Taron, sono sul serio felice per te. Sei stato così bravo in ‘Rocketman’ e non vedo l’ora di vedere cos’altro sai fare.”

Infine il suo pensiero va a un caro collega e amico.

“In realtà mi trovo qui sorreggendomi sulle spalle del mio attore preferito, Heath Ledger.”

Joaquin Phoenix è un attore straordinario, tra il 2019 e il 2020 vince tutti i premi più importanti della categoria individuale, chiudendo il cerchio perfetto di un percorso emozionante che lo vede cresciuto come uomo e come interprete, giungendo alla consapevolezza di una espressione artistica capace di riversare nella recitazione sfumature toccanti di un tormentato passato.

Joaquin Rafael Phoenix nasce nel 1974 a Porto Rico, terzogenito di cinque fratelli. A quel tempo il cognome di famiglia era Bottom, il padre (John Lee Bottom) e la madre (Arlyn Sharon Dunetz) si erano conosciuti sei anni prima negli Stati Uniti d’America, in California. Lui la accolse nella sua autovettura mentre Arlyn faceva l’autostop in fuga dai genitori, si innamorarono e viaggiarono per gli States vagabondando in varie comunità hippie, sposandosi l’anno successivo. I figli, River nato nel 1970 e Rain nata due anni più tardi, sono costretti a esibirsi giovanissimi per le strade. La famiglia, in netta difficoltà economica, si unisce alla congregazione hippie denominata ‘Children of God’. John riceve un ruolo di rilievo come missionario e nel 1973 si trasferiscono in America Latina.


Nel 1974 quando nacque Joaquin i genitori e i suoi fratelli viaggiavano per il paese a bordo di un furgoncino Volkswagen, vivendo in una comunità con ideali legati alla natura e distanti dalla società moderna e dal consumismo. Lì, anche i più giovani facevano premature esperienze sessuali e uso di sostanze stupefacenti. In un’intervista rilasciata nel novembre del ‘91 alla rivista di moda Details, il fratello maggiore River rivelò di aver perso la verginità all’età di 4 anni e che gli adulti della setta avevano rapporti sessuali con gli adolescenti.

La direzione ambigua che stava prendendo la congrega, soprattutto nel proselitismo di nuovi affiliati attraverso la prostituzione e la pedofilia, provocò una rottura dei rapporti con il leader della setta, David Berg. La famiglia Bottom tornò quindi in America nel 1978, cambiando ufficialmente il cognome in Phoenix, prendendo spunto dall’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri per simboleggiare un nuovo inizio. Da qui si avvia la formazione artistica di Joaquin Phoenix, che si esibisce insieme ai fratelli suonando, cantando e recitando per le strade di Hollywood. Partecipano a numerosi provini e vengono scritturati tutti e cinque dalla Paramount, ma la star non è Joaquin, bensì il fratello maggiore River: proiettato verso una futuro radioso già alla precoce età di dieci anni per merito della popolarità ottenuta con Stand By Me (1986) di Rob Reiner.


Nel 1989 i genitori si separano. E Joaquin si allontana per la prima volta dalle scene di Hollywood, seguendo il padre in Messico. Quattro anni più tardi decide di far ritorno negli States, incoraggiato da River a riprendere la carriera di attore. Ma la notte di Halloween del 1993 cambierà la sua vita per sempre, assistendo alla morte per overdose del fratello fuori dal Viper Room, locale dove stavano suonando Flea e Johnny Depp (anche proprietario del club). La chiamata con cui Joaquin contattò il 911 piangendo e disperandosi per le condizioni del fratello venne strumentalizzata e sfruttata dai media, trasmettendola via radio e tv provocando la feroce rabbia di Joaquin, il quale si allontanò per la seconda volta dalle scene.

Passati due anni, il regista Gus Van Sunt, che aveva già lavorato con il fratello River in My Own Private Idaho (1991), lo volle fortemente come co-protagonista nel suo nuovo progetto To Die For (1995). A quel punto Phoenix si trovò ad un bivio: continuare ad isolarsi nel dolore, disconoscendo il mondo dello spettacolo, o indirizzare quella sofferenza in ciò che sapeva fare meglio, recitare. Fortunatamente scelse la seconda opzione e quella decisione fu il tassello fondamentale per l’effettivo avvio del suo percorso come attore. Il cognome che porta non fu mai più appropriato. E così, come aveva rappresentato per la sua famiglia una nuova speranza, diventò per la sua carriera artistica simbolo di rinascita.

Il ruolo di Jimmy nel film di Van Sant gli valse numerose recensioni positive da parte della critica, ottenendo l’attenzione di produttori e registi che lo scelsero man mano per ruoli sempre più interessanti e di rilievo, stimolando lo spettatore a provare emozioni sempre diverse.

Abbiamo odiato la riprovevole perfidia di Commodo in The Gladiator (2000) di Ridley Scott; ci ha fatto sperare di essere salvato in The Village (2004) di M. Night Shyamalan e in Ladder 49 (2005) di Jay Russel; ci siamo commossi in Walk The Line (2005), dove dimostra anche eccezionali doti canore impersonando magistralmente il cantautore Johnny Cash; siamo stati col fiato sospeso nel suo ruolo di Bobby in Way Own the Night (2007) di James Gray, che lo vuole anche nel 2008 per Two Lovers, un morboso triangolo che ci tiene in apprensione fino alla fine. Ed è proprio quella del film Two Lovers che l’attore dichiara essere la sua ultima interpretazione, rendendoci partecipi del suo terzo allontanamento dalle produzioni cinematografiche.

L’intento sarebbe quello di intraprendere una carriera musicale da improbabile cantante hip hop. Il palcoscenico ideale per presentare questo progetto è il David Letterman Show dove si presenta con occhiali scuri, barba incolta e outfit nero, rispondendo alle domande del presentatore mugugnando per monosillabi. In realtà, si tratta della vendetta perfetta di Joaquin Phoenix rivolta ai media americani, generando una fake news che tutti i servizi di informazione vendettero come vera per quasi due anni. L’esperimento sociale smaschera la superficialità del meccanismo giornalistico pronto a distruggere e a calpestare chiunque per fare share & views, come accadde per la sua chiamata al 911 la notte del 31 ottobre 1993. La ciliegina sulla torta di questa sperimentazione è il mockumentary diretto dall’allora cognato Casey Affleck, il quale rappresenta questi eventi fittizi ritraendoli come reali attraverso il linguaggio parodistico; il titolo è ‘I’m Still Here’, presentato allo stesso Late Show dove l’attore si scusa con Letterman per il comportamento riservatogli nel precedente incontro.

Si appresta così un’ulteriore risorgere della nostra araba fenice. Questa nuova fase lo vede impegnato due volte con i film d’autore di Paul Thomas Anderson The Master (2012), Inherent Vice (2014), si innamora di una intelligenza artificiale in Her di Spike Jonze (2013), lavora con Woody Allen in Irrational Man (2015) e con la sua attuale compagna Rooney Mara nel 2018 in Mary Magdalene,  firmato dalla regia di Garth Davis.

Il 2019 è il suo anno, la consacrazione. Interpreta Joker, villain e nemesi di Batman, personaggio complesso quanto dannato per chi lo rappresenta, trasposto più volte sul grande schermo ma mai come protagonista principale, partendo dalle origini, ottenendo approvazione di pubblico e critica e i riconoscimenti più importanti della categoria, compreso il Golden Globe e il Premio Oscar come miglior attore protagonista.

Considerevoli i sacrifici serviti all’attore per entrare nel personaggio di Arthur Fleck, isolarsi da parenti e amici, perdere circa 25 kg in poco tempo, lavorare su tre diverse modulazioni di risata fino a farlo diventare una ossessione.

“L’ho invitato a casa mia”, dice Phoenix riferendosi al regista Todd Phillips. “Non ero sicuro. Volevo fargli sentire come avrei riso. Si è seduto sul divano e io mi sono piazzato davanti a lui. Mi ci sono voluti vari minuti e diversi tentativi prima di trovare quello che mi sembrava il giusto modo di ridere. Immaginate la scena: lui sul divano, a casa di un tizio che, per un periodo piuttosto lungo, tenta di produrre una innaturale risata. Dopo un po’ ho realizzato: l’imbarazzo nei suoi occhi era straordinario. Mi stava implorando di smettere.” (Vanity Fair, 09/2019)


Lo stress psico-fisico è stato notevole e il lavoro eccellente di Phoenix è indiscutibilmente palpabile nel film, il suo Joker è in continua evoluzione, travolto da una spirale di eventi incontrastabili che lo trascinano in una voragine di malessere, dove la linea tra personaggio e attore è sottile, quasi intangibile. Questa indistinguibile scissione tra le due personalità è stata possibile grazie al vissuto stesso dell’uomo prima dell’attore, la sua eterna battaglia volta a difendere gli esclusi, gli emarginati, a dare “..voce a chi non ha voce” (Cerimonia degli Oscar, 02/2020), difendendo i diritti degli animali e della natura con attivismo, scegliendo già all’età di 3 anni ad essere vegano, traumatizzato da come i pescatori venezuelani uccidevano le loro prede senza pietà. Lui, che nel giorno del suo quarto compleanno, mentre tornava in America insieme alla sua famiglia per 100 dollari su una nave mercantile, ricevette la sua prima torta dai membri dell’equipaggio. Che gli regalarono anche un giocattolo preso da uno dei container: “Ricordo quei giocattoli, non avevo mai avuto un nuovo giocattolo prima di allora” (Elle, 01/2020). Lui, che da bambino cantava per le strade e alle prime esperienze da attore si faceva chiamare Leaf (foglia) per non sentirsi diverso dai fratelli con nomi legati alla natura. Lui, che ha stretto il fratello tra le braccia mentre esalava il suo ultimo respiro, inerme sul marciapiede. Lui, che ha dovuto affrontare i problemi di alcolismo, prima del padre, successivamente i suoi, fino alla riabilitazione dopo l’incidente avuto nel 2006, dove ribaltandosi con l’automobile venne soccorso dal regista Werner Herzog, che passando di lì per caso, sfondò il vetro del bagagliaio e lo tirò fuori dalla macchina.

Il sostegno della famiglia è stato fondamentale perché, nonostante tutto il dolore, Joaquin e le sorelle si sostengono a vicenda partecipando attivamente ai progetti e ai successi reciproci. La tenacia di Phoenix sta nel non essersi mai dato per vinto, cullandosi di quella passione che gli ha permesso di mostrare nei suoi personaggi i più complessi aspetti della natura umana.

“..l’amore per il cinema, questa forma di espressione mi ha regalato una vita straordinaria, non so dove sarei senza...” (Joaquin Phoenix durante il discorso della notte degli Oscar 02/2020)