José Saramago – "Le Intermittenze della Morte"
Traduzione a cura di: Rita Desti
Casa editrice: Feltrinelli
Edizione: 2015
Pagine: 218
Umanità e morte. Un legame indissolubile nato ancor prima della vita stessa. Breve o lunga che sia, la vita è un percorso di metabolizzazione della morte, di quel momento che alcuni sperano invano non arrivi mai ed altri, invece, agognano possa palesarsi il prima possibile. Non a caso, questo sodalizio è stato tema di riflessione sin dalla notte dei tempi sia in relazione al mistero del dopo, che ha contribuito alla nascita delle religioni, sia al perché la vita sia composta incontestabilmente da un inizio e da una fine. Questa domanda, più della prima, ha ispirato un’ampia letteratura e autori di vario genere, dai filosofi con i propri saggi ai poeti con le loro raccolte, fino ad arrivare ai romanzieri superstar di oggi, ovviamente con fortune e spessore diversi. Nessun pensatore riesce a resistere al fascino di questo rompicapo le cui dimensioni spaziano dall’infinitesimo della singola coscienza all’infinito dell’universalità che ricomprende sotto di sé; e tra coloro i quali cercano addirittura di risolverlo mettendo in piedi complesse strutture di pensiero, e coloro che invece si limitano a porsi come osservatori passivi utilizzando la morte come evento rilevante all’interno di una storia, si intromette Saramago con il suo “Le intermittenze della morte”. Il titolo lascia intendere quelle che sono le due caratteristiche fondamentali della composizione: innanzitutto, la morte è l’assoluta ed unica protagonista e, in secondo luogo, lo sono le sue oscillazioni caratteriali ed emotive che la portano a prendere una serie di decisioni quantomeno particolari; ed è proprio qui che il grande scrittore portoghese mette in moto il suo genio, regalandoci una storia fantastica e paradossale in cui non mancano riferimenti critici, in forma ironica e caricaturale, alla corruzione morale dell’epoca moderna. Saramago, consapevole della generalità del tema, ambienta la vicenda in un Paese indefinito di un continente indefinito, dove la vita scorre immersa nella sua alienante ripetitività, finché non avviene l’imponderabile: “Il giorno seguente non morì nessuno”. Allo scoccare del Nuovo Anno, la morte, semplicemente, scompare, peraltro esclusivamente in quello Stato. Partendo da questo evento sconvolgente e magnifico, l’autore struttura il racconto in una sorta di trittico dantesco: nella prima parte, il narratore osserva la reazione della comunità alla scomparsa della morte, un vero e proprio Inferno pregno di decadenza in cui prevalgono gli anti-valori di opportunismo, crudeltà, corruzione e prevaricazione; la Maphia (“Perché con il Ph, Per distinguerci dall’altra, la classica”), beneficiando di un accordo con il Governo, gestisce il business del trasporto oltre confine - dove ancora si può morire - di quei poveretti rimasti in una condizione di mezzo tra vita e morte e destinati a quella condizione per l’eternità, dei quali parenti, dimore per la terza età ed ospedali non hanno intenzione o convenienza di prendersi cura, dimostrando assoluta mancanza di pietà; la Chiesa, colei che più di tutti dovrebbe beneficiare di quello che ovunque chiamerebbero un miracolo, si preoccupa invece della possibile perdita di fedeli - e di soldi - causata dall’improvviso crollo di uno dei principali pilastri della dottrina di cui è portatrice; le ditte di servizi funebri e le compagnie di assicurazione, per cui le polizze vita costituiscono un asset importante, reclamano il diritto ad esistere nonostante la linfa della loro attività si sia definitivamente prosciugata; mescolando tutti questi elementi ne viene fuori una miscela indistinta in cui a regnare è il puro caos.
Nella seconda parte, non riuscendo a rimanere indifferente rispetto a quello che considera un suo personale fallimento, la morte decide di ritornare sulla scena, ma anche stavolta in modo ben poco convenzionale: recapitando al direttore generale della televisione nazionale un comunicato, che egli leggerà in diretta nazionale, in cui proclama che farà pervenire una lettera a coloro i quali moriranno nel termine di una settimana in modo da permettergli di fare testamento, salutare i familiari o anche fare ammenda per i peccati commessi, trascinando di fatto i futuri deceduti in una sorta di Purgatorio in cui sono costretti a riflettere sulla loro esistenza e su quanto si lasciano alle spalle. L’intuizione della morte sembra funzionare senza intoppi fin quando, un giorno, si ritrova rispedita al mittente una delle famigerate lettere. Credendo ci sia un errore, tenta di recapitarla nuovamente alla sua vittima, ma senza successo, più e più volte: un violoncellista quasi cinquantenne, una persona assolutamente comune, si “rifiuta” di morire. Per evitare che uno sciocco ribalti il tavolo su cui si gioca una partita millenaria in cui il banco non può perdere e non ha mai perso, la morte decide di intervenire personalmente, prendendo le sembianze di una donna anche piuttosto bella così da consegnare personalmente la lettera a quell’uomo così sfacciatamente sfuggevole che rischia di mettere in pericolo ben più che la carriera della morte. In un Paradiso a parti invertite in cui una Beatrice inconsapevole di esser tale insegue un suo altrettanto inconsapevole Dante, l’elemento che li unisce è quell’inesauribile forza, l’unica che riesce a smuovere l’inamovibile, che il genere umano chiama amore e che forse, troppo spesso, viene posta in antitesi alla morte: ma chi vorrebbe morire nel freddo della solitudine e dell’abbandono, piuttosto che circondato dal calore di chi ha amato?
Saramago, in conclusione, riesce nel difficile intento di umanizzare la morte, non solo perché ironizza sul suo aspetto, raffigurandola come il classico scheletro con la falce che vive nelle profondità della Terra, o sulla sua effettiva dimensione di potere, presentandola come una sorta di impiegata, una delle tante morti - ognuna con la sua sfera di competenza - che rispondono a delle entità a loro superiori, ma anche e soprattutto perché la riporta ad una dimensione umana, ricordandoci che è una tappa del percorso, un’entità concreta con cui prima o poi ci troveremo faccia a faccia e che, in definitiva, starà a noi decidere come accogliere: con la sofferenza dell’odio, o con la leggerezza dell’amore.
Gradimento: 9.5/10
Media Critica e Pubblico*: 7.8/10
*v. fonti in calce