Josefine, un canto di libertà senza musicalità
Schiacciare noci è un’arte? “Non è davvero arte”, ma se il “proposito riesce, allora può essere in questione non solo il puro e semplice schiacciar noci”: emerge invece che abbiamo ignorato quest'arte “perché la conoscevamo perfettamente” e che chi schiaccia noci “ne indica per primo l'essenza particolare”. Le parole sono quelle di Kafka, prese dall’ultimo racconto che ha scritto prima di morire il 3 giugno del 1924 nel sanatorio di Kierling (Austria). A portarle in scena sul palco del Teatro India, gli attori Tamara Bartolini e Michele Baronio. Con l’obiettivo, non l’unico, di dimostrare il potere liberatorio dell’arte.
Josefine o il popolo dei topi. È questo il titolo dell’ultima opera dell’autore nato a Praga nel 1883. Nel testo si trova da un lato l’artista, dall’altro il suo pubblico. Ma sono capaci gli spettatori di comprendere il suo valore? E di non limitare la sua espressione? La protagonista canta come nessun altro sa fare. Eppure, tutti vorrebbero “rosicchiare” un pezzo del suo talento, portarglielo via. Chi vive d’arte e per l’arte non è compreso.
Kafka usa la melodia delle canzoni per focalizzarsi sulle difficoltà degli artisti. Utilizza questo espediente per narrare una condizione in cui lui stesso versava. E lo fa avvalendosi della musica che lui stesso amava. Basta rammentare quanto scriveva nei suoi Diari sulle recite della signora Klug, attrice che ammirava molto: “Quando cantava ero raggiante”. Ma nello spettacolo di Bartolini e Baronio il canto di Josefine non c’è. C’è un lamento, quello sì, di una categoria, quella dei lavoratori del mondo dello spettacolo, che spesso si confronta più con necessità economiche che non artistiche. Con l’obbligo di dover lavorare per altro e non per l’arte.
Non mancano nella rappresentazione il dialogo e la riflessione. I video e l’ironia. Mancano però una coesione (perché si accosta Nina Simone che parla di libertà su temi razzisti a quello della libertà dell’arte?) e una coerenza narrativa (perché il soliloquio personale di Michele Baronio? Davvero necessario?). Quello che non manca è Kafka con la sua riflessione: perché l’arte, per poter essere fruita appieno, deve essere libera. Altrimenti scompare come il canto di Josefine.