LA STORIA DI IVO - Eva e Adamo - Parte settima
Due esemplari di un’umanità nata quasi per germinazione spontanea in risposta a un bisogno di nuova libertà. La loro ricchezza, le loro paure, le loro illusioni sono ingredienti di una storia rimasta a mezz’aria tra passato, presente e futuro.
Non li aveva conosciuti al Giardino dell’Eden, ché quello era un luogo ormai abbandonato da tutti da quando le cose si erano irrimediabilmente complicate a seguito dell’irruzione di un non invitato venditore di frutti proibiti. Li aveva incontrati una sera a una riunione di condominio in cui si dovevano discutere questioni che nulla avevano a che fare con il problema della Conoscenza. Bastava conoscere, prendendone visione, l’ordine del giorno per accorgersi che si trattava di questioni di scarsa importanza e che di lì a poco, a differenza di quanto era successo agli inquilini del famoso Giardino, tutti sarebbero potuti tornare tranquillamente alle loro case.
Si chiamavano Eva e Adamo e non Adamo ed Eva come erroneamente si dice a proposito dei due dell’Eden visto che era stata lei a decidere tutto con lui rimasto in silenzio a vedere come sarebbe andata a finire mentre la sua compagna trafficava al banco della frutta.
Li conosceva appena. Era la prima volta che li incontrava veramente dopo averli visti di sfuggita per le scale o alla porta dell’ascensore. “Non ci siamo mai conosciuti” “eh, già, eppure siamo qui da più di un mese” “così tanto?” “infatti, come passa il tempo, sembra ieri che siamo venuti ad abitare qui” “è incredibile, comunque ciao, ci vediamo” “sì, certo, ciao.”
Mente lei interveniva nella discussione, sempre a proposito, con diligenza e cognizione di causa, agitandosi un po’ ma quel tanto che rivelava entusiasmo e non insicurezza, lui rimaneva in silenzio, annuendo per far capire che era d’accordo. Sembravano due esponenti di quell’umanità che ha occupato lo spazio lasciato scoperto da una borghesia che ha preferito accomodarsi in una monotona espressione di sé, uno spazio di cui si è appropriata in modo rumoroso e approssimativo un’improvvisata minoranza di cui quei due sembravano un’esemplare espressione.
Ivo li osservava. Provava a immaginare chi mai fossero nel loro intimo, quale fosse la loro storia e, ora, la loro vita. E aveva ragione perché la storia di Eva e di Adamo non era da buttare via e conoscerla avrebbe consentito di sapere qualcosa di più sui misteriosi intrecci che a volte aggrovigliano quell’apparentemente semplice vicenda che è la vita di coppia. Anche perché loro, lei soprattutto, erano fatti apposta per incuriosire, per far sorgere la domanda “chissà cosa pensano quei due, cosa votano, come fanno l’amore”, un modo per partecipare, pur se come non invitato spettatore, a un mondo che forse valeva la pena conoscere.
Eva e Adamo provenivano da situazioni personali, culturali, ambientali tra loro molto diverse. Lei convinta erede delle grandi lotte del Femminismo, lui uno di quei molti intellettuali tutto rigore metodologico che la Sinistra sfornava con poche varianti che non alteravano in alcun modo il rigore spesso solo formale di un molto diffuso approccio intransigente alla Politica.
Erano portatori di un groviglio di idee messe insieme nei cortei e nelle assemblee piene di fumo e di parole d’ordine sempre accolte con salve di applausi più per come venivano pronunciate che per quanto concretamente proponevano. Quella di Eva e di Adamo era una vita ancora coerente con quei loro antichi bagagli di idee e di consuetudini. Avevano un figlio che a vent’anni aveva risposto alla chiamata che imponeva di iniziare a costruirsi precocemente una vita tutta propria. Un abbandono camuffato da emancipazione che avrebbe sicuramente dato i suoi frutti, non escluso un passaggio per lo studio di uno psicoterapeuta, un passaggio che, sapendo attendere, sarebbe forse riuscito a puntellare in qualche modo una personalità precipitosamente sottratta alle screditate ma ancora indispensabili rassicurazioni famigliari.
Eva e Adamo svolgevano attività in linea con le loro antiche attese. Scansate fortunosamente le borse di Tolfa, erano riusciti, trasformando la precarietà in disimpegno e l’incongruenza in intriganza, a dribblare le difficoltà che spesso si incontrano accedendo al mondo del lavoro. Bivaccavano nel cosmo della moda creativa, delle radio private, delle pubbliche relazioni, della stampa alternativa, del turismo intelligente, dell’editoria di nicchia, attività che occupavano il loro perimetro lavorativo rinvigorito da non irrilevanti apporti economici provenienti da pensioni che i loro genitori si erano procurati in banca, nella Pubblica Amministrazione o in qualche tradizionale mestiere.
Non conoscevano il concetto di fedeltà, scaduta a occasione di ironiche interpretazioni di obsoleti sentimenti diventati incompatibili con i dettami di una libera creatività sessuale che andava occasionalmente a esprimersi in frettolose e molto spesso soltanto dimostrative incursioni in periferici alberghi a ore.
Eva e Adamo si erano incontrati sul territorio del desiderio di una vita diversa. Un territorio su cui aveva trovato spazio la loro cultura politica, il loro sistema di valori, le loro attese e una dimensione amorosa che era più una complicità che una vera unione. Qualcosa che li teneva legati lasciando fuori della stanza da letto qualsiasi dubbio, distinguo o obiezione che potesse disturbare i riti politici che in quella stanza si celebravano.
La loro relazione somigliava al tragitto che l’acrobata compie su una corda tesa tra due punti pericolosamente distanti tra loro. Eva e Adamo camminavano insieme su quella corda, abbastanza vicini da potersi dare una mano se avessero vacillato. Procedevano insieme e in silenzio. Uno strano silenzio ricco di parole che sostenevano soltanto delle solitarie enunciazioni senza mai dar luogo a un vero e reciproco accesso ai segreti delle loro anime.
Ivo aveva potuto soltanto immaginare tutto questo perché, un giorno, Eva e Adamo scomparvero. Partiti, forse. Insieme o ognuno per la propria strada. O forse avevano anche loro abbandonato il Giardino dell’Eden per addentrarsi nella concretezza del mondo, avevano iniziato a dare alle loro parole non più il senso di una solitaria esclamazione ma l’impegnativa valenza di un concreto rapporto con la realtà. Forse per questo erano scomparsi, perché avevano avvertito il bisogno di migrare verso uno spazio dove le loro anime potessero espandersi e, finalmente, compromettersi. Forse.