L'Amletico

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LA STORIA DI IVO - Ivo - Parte prima

Ha qui inizio la storia di Ivo. Una storia che già comincia in modo particolare. Dalla scelta del nome del nascituro, che si incrocia con le strane idee dei suoi genitori al riguardo, con il loro desiderio di acquistare un appartamento e con molto altro. Ma non anticipiamo.


La loro idea era di chiamarlo Domenicantonio o Giovanpaolo o Giovanangelo. O di ricorrere a chissà quali altre alchimie per dare al nascituro la desiderata fisionomia di persona complessa, significativa, importante. Che male non gli avrebbe fatto in un mondo costruito attribuendo grande importanza ai segni e spesso riluttante ad andare fino in fondo nell’interpretare lo spettacolo della realtà. Domenicantonio, Giovanpaolo, Giovanangelo ma anche perché no? Antongiacomo o Giovanalberto dato che si sapeva che sarebbe stato un maschietto.

Alla fine era diventato quasi un gioco. Mentre la pancia cresceva, si ampliava anche la lista dei nomi altisonanti che si sarebbero potuti dare al piccolo che se ne stava accucciato dentro la mamma senza poter intervenire in una faccenda che lo riguardava molto da vicino e dire al riguardo la sua. Ché forse qualche idea l’aveva anche lui e magari avrebbe suggerito Saviergiacomo o Angelantonio per arricchire la lista da cui sarebbe stato estratto il suo nome. O, chissà, avrebbe rovesciato il tavolo imponendo un Giuseppe, un Gennaro o un Pasquale.

Non si vuole qui formulare un giudizio sul fatto che i futuri genitori pensassero che andare in giro esibendo un nome importante avrebbe aiutato, per il ricordato gioco dei segni, ad accreditarsi come persona ricca di sfaccettature e quindi da prendere con le molle più di quanto si sarebbe stati portati a fare avendo di fronte un Giuseppe, un Antonio, un Giovanni, tutte anime presumibilmente semplici, disponibili, in qualche modo antiche, superate.

I due si saranno forse chiesti, e non a torto, come se la sarebbe cavata il 18 brumaio il futuro imperatore dei Francesi se invece di chiamarsi Napoleone Bonaparte si fosse chiamato Jean Petit e qualche membro dell’Assemblea avesse ironizzato su quel nome rilevandone l’incompatibilità con i pieni poteri che il generale era andato baldanzosamente a reclamare. Magari molti avrebbero riso di cuore e si sa come certe situazioni importanti siano spesso appese a un filo e possano per un nonnulla sfuggire di mano.

Da tutto ciò i genitori del nascituro di cui stiamo raccontando arguivano che rivolgersi a un Domenicantonio invece che a un Pio, a un Gino o un Leo avrebbe dato l’idea di un ossequioso sciorinare un titolo evocativo di nascoste qualità o prerogative. Un bel vantaggio, pensavano, per chi non aveva altro per le mani, dato che i genitori del piccolo essere in arrivo non disponevano di ricchezze da trasferire o di vantaggiose collocazioni nella scala sociale da trasmettere. Ed erano stati costretti a ricorrere a quel mezzuccio di incerta efficacia per cercare di far risolvere al meglio il primo incontro che il loro erede avrebbe dovuto affrontare con la folla di persone con cui sarebbe stato chiamato a fare i conti.

Non potevano infatti essere certi che quel piccolo essere sarebbe stato capace di guadagnarsi qualche importante titolo accademico con cui accompagnare dignitosamente un Pio, un Gino o un Leo compensandone l’esiguità. E, allora, mettere al sicuro nella madia un nome che facesse pensare “ah, però, che nome importante!” non sarebbe poi stato troppo male.

I due avevano messo in conto che la loro idea presentava qualche inconveniente. Che ad esempio il loro cucciolo sarebbe stato sicuramente trascurato dai compagni di squadra durante le partite di calcio giocate al campetto dell’oratorio sotto casa. “A te, Domenicantonio!” sarebbe stato difficile da dire senza perdere l’attimo favorevole e alla fine la palla sarebbe stata passata a un Pio, a un Pino o a un Leo anche se uno di questi si fosse trovato in una posizione meno vantaggiosa.

La questione del calcetto non era ovviamente uno dei loro primi pensieri. Il nascituro avrebbe infatti potuto rinunciare tranquillamente a qualche precoce gloria sportiva rifacendosi da grande con la partecipazione a una squadra senza grandi pretese con dei coetanei dai nomi di varia lunghezza e come lui privi di una visione troppo vivace del gioco.

Il problema era di ben altra portata. C’erano in ballo la carriera, il rispetto della gente, l’autostima, tutti ingredienti necessari per cucinare una gustosa pietanza che consentisse di sedersi volentieri al tavolo della vita. Di questo e non di altro si trattava.

Alla fine tutto andò in altro modo. Quando il bambino nacque, i nomi altisonanti che erano stati pensati per lui vennero giù d’un sol colpo come birilli raggiunti da un buon lancio al bowling.

Il preciso colpo che gettò a terra la compagine di nomi predisposta per accogliere il neonato prese corpo a causa dell’occasionale coincidenza della nascita del piccolo con il desiderio dei genitori di acquistare un appartamento dopo tanti anni di improduttivi versamenti di un canone di affitto. Con la conseguenza che divenne necessario mettere insieme una somma assolutamente al di sopra delle scarse risorse che gli acquirenti erano in grado di far scivolare fuori dalle loro tasche non cavandosela troppo bene in quanto a denaro. Erano due esponenti di quell’umanità che vive sospesa tra inadeguate possibilità e irragionevoli desideri con il risultato di andare spesso fuori tono nel prodursi in azzardati do di petto. Possedere finalmente un appartamento che nelle appropriate occasioni consentisse di dire “la nostra casa” o, quando se ne fosse offerta l’occasione, “i nostri condòmini” o “il nostro amministratore”, sarebbe stato un bel passo in avanti non dovendosi più biascicare a mezza bocca “il nostro padrone di casa”.

Fare quel salto di qualità non sarebbe però stato mai possibile se qualcuno non li avesse sospinti nella loro corsa verso il traguardo ponendoli al riparo dal rischio di inciampare o di dover rallentare passo dopo passo e alla fine tornare indietro a racimolare il canone di affitto da versare puntualmente alla fine del mese.

Ma dice il saggio, e anche chi saggio non è, “non è mai detto”. E infatti nella vicenda che stiamo raccontando “non era detto” perché un vecchio e danaroso zio scapolo e senza altri eredi si offrì di provvedere alla bisogna fornendo quanto era necessario per acquistare il sospirato appartamento.

Si dette però il caso che il generoso zio si chiamasse Ivo. Ivo il generoso zio e, evidentemente, Ivo anche il nipotino, non più candidato a divenire un  Domenicantonio, un Giovanpaolo, un Giovanangelo o anche un Antongiacomo o un Giovanalberto o, se del caso, un Saviergiacomo o un Angelantonio.