Lo spettatore diventa un voyeur nella mostra a Palazzo Barberini
Fino al 5 Aprile, a Roma, nella bellissima vetrina di palazzo Barberini, sede delle Gallerie Nazionali di arte Antica, è possibile visitare la mostra intitolata: L’ora dello spettatore. Come le immagini ci usano, a cura di Michele Di Monte.
Il percorso espositivo della mostra, articolato in cinque sezioni, offre la possibilità di ripercorrere il secolare rapporto tra lo spettatore e l’opera d’arte, tramite una rassegna di 25 dipinti tra Cinquecento e Settecento, esibendo a fianco dei capolavori della collezione un nutrito numero di quadri provenienti da istituzioni pubbliche e private, sia nazionali che internazionali.
“Una finestra aperta sul mondo” (De pictura, 1435-1436) è questa la definizione che già Leon Battista Alberti, nota figura poliedrica dell’Umanesimo rinascimentale, attribuiva all’opera pittorica. Opera capace di rendere partecipe e di immergere l’osservatore in una realtà alternativa e parallela, costruita artificiosamente attraverso l’immagine dipinta. Il Leitmotiv che unisce le diverse sezioni della mostra riguarda il ruolo dello spettatore come testimone attivo dello spettacolo rappresentato, in un continuo gioco tra realtà e finzione in cui il pubblico ne diventa il principale protagonista.
La mostra si apre con la sala introduttiva: l’attesa del pubblico, dedicata interamente al piccolo quadretto raffigurante il Nuovo Mondo di Giandomenico Tieopolo. Un’opera carica di ironia che porta con sé un duplice significato. Il dipinto da un lato celebra sarcasticamente l’avvento di un nuovo dispositivo ottico che proietta una nuova realtà, preannunciando alle soglie dell’Ottocento l’avvento della fotografia, del cinema e dunque dello spettacolo; dall’altro non è che un’allusione al significato dell’immagine e della pittura. “Noi”, in quanto spettatori esterni non possiamo vedere quale “Nuovo Mondo” venga riflesso nella camera ottica, ma solamente scorgere la platea del pubblico che si accalca per osservare il nuovo evento, la quale si trasforma nel vero soggetto della rappresentazione.
La soglia
Ritornando al concetto di quadro come “finestra”, in pittura viene spesso raffigurato il limite che si interpone tra lo spettatore e la realtà rappresentata: La Soglia diventa materialmente e metaforicamente l’oggetto che unisce e separa, allo stesso tempo, il pubblico dallo spazio dipinto. La prima sezione si snoda in una serie di quadri in cui cornici, finestre, tende e sipari invogliano lo spettatore ad attraversare il labile confine che lo divide dalla scena pittorica. Questo accade osservando La ragazza in cornice di Rembrandt, la quale attende impaziente di accogliere in qualsiasi momento lo spettatore al di là della soglia del quadro, poggiando fisicamente la mani sulla cornice.
La passione dello sguardo
L’occhio di chi guarda si perde nei meandri delle storie o degli episodi raccontati dalle opere d’arte, lasciandosi trasportare in un viaggio mentale, il cui unico condottiero è il soggetto stesso della rappresentazione, che disciplina e indica il sentiero da percorrere. È questo il significato del dipinto di Hans Memling, unico protagonista della seconda sala della mostra con le Storie della passione di cristo. In questo caso, in diretta connessione al devozionismo privato, per cui il quadro è stato commissionato da Tommaso Portinari, l’artista fiammingo invita il fedele a intraprendere concettualmente un pellegrinaggio spirituale e religioso, seguendo l’itinerario di Cristo, fatto di dolore e sofferenza.
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L’appello
Fino adesso si è parlato di un coinvolgimento o di un invito discreto dell’opera d’arte nei confronti di chi la osserva, in questa sezione lo spettatore diventa l’osservato speciale, unico e principale interlocutore dei personaggi rappresentati. Se nell’Elemosina di Elisabetta d’Ungheria di Bartolomeo Schedoni, l’episodio pauperistico è anticipato dallo sguardo enigmatico del bambino e dalla figura cieca in primo piano, allo stesso modo la Venere di Guercino seduce e provoca l’ipotetico amante di fronte a lei, con Cupido pronto a sferrare il dardo all’incolpevole intruso. In entrambi i dipinti, siano essi di soggetto religioso o profano, l’episodio illustrato passa in secondo piano, fino a provocare una reazione negli altri personaggi interni al dipinto, come nel caso del Duca Alfonso d’Este, che appare comprensibilmente infastidito dall’atteggiamento disinteressato nei suoi confronti della dea della bellezza.
L’indiscreto - Il complice
Il linguaggio della pittura non sempre dialoga con il pubblico coinvolgendo lo spettatore in maniera diretta e teatrale, in alcuni casi l’artista sceglie di dipingere figure rivolte di spalle o troppo occupate nei loro pensieri o nelle loro faccende per accorgersi di non essere sole al di qua della cornice. Con questo artificio, in realtà, la scena dipinta offre la possibilità all’interlocutore di mettersi sullo stesso piano narrativo e di partecipare in maniera privilegiata al racconto a cui in un primo momento sembrava non dovesse prendere parte. Colui che osserva è sempre chiamato a partecipare alla realtà illustrata dalle immagini, in un coinvolgimento tante volte dissimulato ed ambiguo, sciolto solamente dall’osservatore, il quale deve scegliere se farsi complice o testimone indiscreto nei confronti delle storie raffigurate. Questo accade osservando i dipinti di Carlo Saraceni e di Andrea Savoldo con Gregorio Magno e la Maddalena, in cui ci si ritrova immersi nella scena nei panni di fedeli compagni per assistere al miracolo dell’evento sacro. O viceversa nel caso della Cleopatra di Lanfranco e della Giuditta ed Eleoferne di Johann Liss, prestate per l’occasione dalla Galleria Brun Fine Art e dalla National Gallery di Londra, in cui le due bellissime protagoniste femminili rendono complice lo spettatore di due atti estremi, quali sono l’assassinio di Oleoferne e il suicidio della stessa Cleopatra.
Il voyeur
“Ho letto ne Les Cahiers du Cinéma che un regista è come, come un guardone, un voyeur. È come se la macchina da presa fosse... il buco della serratura della porta dei tuoi genitori. E tu li spii, e sei disgustato... e ti senti in colpa... ma non puoi fare a meno di guardare. Fare i film è come un reato. Un regista è come un criminale”. Dovrebbe essere illegale.
In questa frase tratta dal film The dreamers - I sognatori di Bernardo Bertolucci (2003), traspare in maniera chiara ciò che unisce l’immagine a colui che si sofferma ammaliato a contemplarla: il desiderio. Desiderio che si trasforma in pulsione sessuale ed erotica. L’artista è come il regista, un “criminale”, che svela le più recondite passioni dell’animo umano allestendo spettacoli intimi, di vita privata, facendo dello spettatore un Voyeur, mosso da un sentimento contraddittorio di attrazione-repulsione nei confronti di un evento che sarebbe dovuto rimanere al riparo da occhi indiscreti.
Nel quadro di Venere e Marte di Lavinia Fontana a e nella Betsabea al bagno di Jacopo Zucchi, in realtà, lo sguardo innopportuno di chi osserva viene smascherato da chi come Venere e la domestica di Betsabea, si accorge della sua presenza, lasciando cadere l’illusione che lo spettatore possa godere indisturbato della nudità femminile offerta dall’immagine dipinta.
Una mostra piacevole ed interessante, impreziosita dalla presenza di quadri provenienti da importanti collezioni italiane ed estere, in cui il percorso espositivo rimane coerente con il messaggio proposto dal curatore.