Michel Onfray - Cosmo: La natura è l’unica religione
Casa editrice: Ponte Alle Grazie
Traduttore: Michele Zaffarano
Edizione: 2015
Pagine: 534
Muoviamo dalla fine. Dalle pagine che chiudono il libro con una sintesi del pensiero di Michel Onfray, che va letta in anticipo se si vuole comprendere fin dall’inizio il senso dell’impietosa analisi che l’autore svolge della realtà - come oggi siamo acriticamente abituati a percepirla - che ci è dato vivere dopo due millenni di pensiero giudaico-cristiano.
“Vivere il tempo degli astri più che quello dei cronometri”….“prendere coscienza di essere pura materia”….”sapere che l’individuo crede di volere ciò che invece è la specie a volere”….”sapere che noi non siamo nella natura ma siamo la natura”….”scoprire il meccanismo del proprio orologio biologico”….”rifiutare qualsiasi sapere inutile dal punto di vista esistenziale”….”trattare gli animali come alter ego diversi”….”fare dell’etologia la prima scienza.” E molto altro.
E’ seguendo questo tracciato che Onfray conduce la sua esplorazione dei meccanismi che regolano la naturalità dell’essere, si tratti dell’uomo come di ogni altro soggetto vivente, fino alle profondità degli atomi. Di ogni elemento del cosmo, insomma, chiarendo che il cosmo di cui qui si parla non è quello delle galassie, delle stelle e dei pianeti ma è la dimensione in cui tutto, quaggiù da noi, avviene secondo le leggi naturali di cui sono protagonisti i nostri corpi “fatti di carne, chiamati a convivere con le innumerevoli essenze che vivono intorno a noi.”
In questa sua esposizione Onfray si avvale di efficacissime concettualizzazioni a supporto delle idee che ci propone. Come quando parla di un “tempo immanente” alla realtà, un tempo che la natura, attraverso il proprio endogeno orologio metafisico, contrappone al “tempo sociale” convenzionalmente costruito dall’uomo attraverso i suoi strumenti meccanici predisposti in funzione di mutevoli bisogni e interessi: il tempo del sonno, del lavoro, il tempo per imparare, per insegnare e per tutti gli altri momenti dell’esistenza.
Come quando ricorre alla botanica per cogliere in termini non valoriali la volontà di potenza immanente nella realtà e il suo manifestarsi al di là del bene e del male. Avvince l’emblematico riferimento al Sipo Matador, la liana assassina dell’albero che la sostiene nella sua corsa verso la luce del sole. Come quando ci viene raccontato dell’incredibile, ma assolutamente funzionale allo scopo, viaggio delle anguille attraverso gli oceani per compiere i loro più elementari atti dell’esistenza come riprodursi e morire. Tutti soggetti che sembrano interpretare meglio di noi umani i meccanismi che regolano la vita sulla Terra, soggetti che, non avendo subìto la contaminazione indotta dalla Storia, sono i soli autentici testimoni della realtà che si offre al genere umano.
Negando ogni valore alle nostre mediazioni culturali Onfray legge quindi in chiave rigorosamente naturalistica i comportamenti umani prodotti dalla Civiltà: la proprietà come forma giuridica della visione etologica dei territori, la polizia come strumento di intimidazione dei maschi dominanti, la politica, l’economia, il diritto, la guerra e tutto il resto come pure e semplici cristallizzazioni di leggi naturali.
Non deve quindi sorprendere che Onfray, per decifrare le logiche di funzionamento del nostro mondo, escluda l’uomo e si rivolga soprattutto agli “animali non umani” e alle piante. Non deve sorprendere visto che egli pone Lucrezio (ed Epicuro sullo sfondo) al centro della sua interpretazione del rapporto tra l’uomo e la realtà delle cose (il De rerum natura proposto come “viatico esistenziale”) e denuncia anzi una generalizzata espropriazione della natura ad opera delle creazioni culturali del genere umano citando, a questo proposito, anche la musica divenuta, da spontanea esperienza corporea, un semplice “addomesticamento dei suoni.”
C’è un’ulteriore annotazione da fare a margine di Cosmo. Al di là del puntuale approccio scientifico che – pur se a distanza dai canoni dell’ortodossia – Onfray conferisce alla sua opera, al lettore viene anche offerta l’opportunità di godere di momenti di vera letteratura. Non soltanto per effetto del linguaggio accattivante spesso utilizzato dall’autore e per il ricorrente riferimento a momenti della sua storia famigliare in cui troneggia la scarna ma essenziale figura paterna. Ma anche per la frequente fisionomia antologica del testo che, in una serie di capitoli, raccoglie lunghe citazioni di opere, di posizioni culturali e di realtà etnografiche di “altre” civiltà tra le quali merita una segnalazione quella gitana di cui Onfray esplora in profondità il mondo nascosto.
E’ così che Cosmo viene a popolarsi di una folla di protagonisti e di idee che contribuiscono alla coralità espressiva dell’opera con un’incursione finale nella sfera del Sublime di cui l’autore coglie le connessioni con il mondo della realtà. Le creazioni di Arcimboldo, ad esempio, così ricche di riferimenti alla semplicità dei contenuti della natura, o gli interventi creativi sull’ambiente naturale ad opera degli artisti della Land Art con il loro percorso a ritroso in direzione della preistoria.
L’Amletico ha già segnalato un’altra importante opera di Michel Onfray, Decadenza, che come Cosmo è parte di un ampio progetto culturale (Breve enciclopedia del mondo) con cui viene proposta una visione rivoluzionaria della vita naturale, una visione che “interroga la natura là dove essa più vivacemente si agita e freme trascinando ogni cosa nel suo movimento” incluso l’uomo, “un animale apparentemente senza predatori che dimentica in realtà di avere un predatore tra i più feroci, se non il più feroce, se stesso.”
Un giudizio conclusivo? Cosmo è un libro da leggere, con attenzione, sospendendo ogni tanto la lettura per pensare, per verificare una certezza ospitando un dubbio, per allargare lo spettro dei pensieri andando al di là delle proprie convinzioni. Un libro importante, insomma.
Gradimento Amletico*: 7.5/10
*Media tra gradimento del pubblico, critica e autore