Michelangelo a colori: la rivincita dei manieristi
Luogo: Palazzo Barberini
Durata della visita: 30 minuti circa
Periodo: dall'11 ottobre 2019 fino al 6 gennaio 2020
Costo biglietto (valido per la visita dei palazzi Berberini e Corsini): Intero € 12 Ridotto €2 (per i giovani dai 18 ai 25 anni).
Il nome di Michelangelo risuona titanico nella storia dell’arte.
Pochi artisti hanno avuto un’importanza ed una fama eguali a quella del Buonarroti. Non si può dire lo stesso per i vari Marcello Venusti, Marco Pino, Lelio Orsi e Jacopino del Conte. Eppure questi misconosciuti artisti hanno contribuito alla sua fama, divulgando e diffondendo le sue invenzioni e il suo stile.
L’attività pittorica romana della seconda metà del Cinquecento, molto abbondante ma spesso mediocre, non può prescindere da Michelangelo, che vivrà fino al 1564 isolato nella sua casa di Macel de’ Corvi (nei pressi della Colonna Traiana), venerato come una sorta di santone.
Una meritevole e interessante mostra a Palazzo Barberini indaga proprio il dialogo fra Michelangelo e i suoi seguaci, partendo da alcuni disegni del grande maestro (esposti in fac-simile), che sono stati spunto per le opere di questi pittori manieristi, che ce li hanno restituiti a colori, come suggerisce il felice titolo della mostra.
I curatori della mostra, Francesca Parrilla e Massimo Pirondini (con il coordinamento scientifico di Yuri Primarosa), hanno scelto alcune opere significative derivate da invenzioni michelangiolesche. I nove dipinti esposti provengono in parte dalle collezioni delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica (Barberini-Corsini), in un’ottica di valorizzazione delle proprie opere, e in parte da altri musei e collezioni private. Fra le opere di maggior pregio vi è l’Annunciazione di Lelio Orsi, interessante soprattutto per le vicende collezionistiche e attributive. Il quadretto infatti ebbe sia diverse attribuzioni, oscillando fra Marcello Venusti e Correggio, che diversi proprietari, dal cardinal Alessandro d’Este al grande collezionista Sebastiano Resta. Dietro la tavola è visibile una carta seicentesca autografa con tanto di marca da bollo, che ne attesta la storia. Sarà soltanto il grande storico dell’arte Federico Zeri a restituirlo alla mano del pittore di Novellara.
Di squisita bellezza sono poi la Crocifissione di Marco Pino, con un fondo scuro che sembra preludere già l’oscurità caravaggesca, e il piccolo olio su rame di Venusti di analogo soggetto, entrambi derivanti da un disegno di Michelangelo conservato al British Museum.
Altro tema sul quale Michelangelo meditò a lungo e si cimentò più volte è quello della Deposizione di Cristo, dalla giovanile Pietà vaticana all’ultima e sofferta pietà Rondanini. In mostra è presente una Deposizione riscoperta nei depositi dell’Accademia di San Luca e attribuita a Venusti, messa qui in relazione con la tavola di Jacopino del Conte di stesso soggetto.
Il Cristo eburneo di Jacopino (dalle sembianze quasi finnico-svedesi a giudicare dal baffo arricciato rosso) dialoga col vicino di Venusti, più mediterraneo e dall’impasto cromatico più denso.
La mostra è un importante focus sulla fortuna di Michelangelo e sulle sue traduzioni e divulgazioni, consigliata non solo agli addetti ai lavori, ma anche a tutti gli appassionati e ai curiosi, che avranno modo poi di vedere o rivedere la straordinaria collezione di Palazzo Barberini.
Così scriveva Zeri nel 1957, nel fondamentale saggio Pittura e Controriforma: “La nobilissima persona del Venusti attende un atto di giustizia riparatrice che la risollevi dalla zona grigia in cui egli è stato respinto dalla volgarità e dal pessimo gusto dell’estetismo decadente di Ruskin e seguaci”. Allargando questa affermazione anche agli altri pittori esposti in mostra, potremmo dire che un primo atto riparatore nei confronti di un gruppo di artisti non sempre apprezzati da critica e pubblico, è stato compiuto.