Personal Shopper: un thriller atipico per un’algida e androgina Kirsten Stewart

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Olivier Assayas è un regista relativamente poco noto in Italia, ma in Francia è famoso per i suoi lavori cinematografici ondivaghi e sfumati, fatti di incertezze e momenti di bellezza fugace. Trame porose, sensazioni che lavorano l’immagine, musiche che la sgranano. Sils Maria, film del 2014, è un perfetto esempio di questa ricerca, che per certi versi può sembrare un po’ sterile (il film è in sostanza come un commento a Persona di Bergman, ma a sua volta la trama si regge su una costruzione metanarrativa che rende al contempo il film totalmente autonomo). La coppia Juliette Binoche-Kirsten Stewart è un successo: un rapporto difficile fatto di complicità e sentimenti repressi (ostili? Affettivi?) lega le due donne in una dinamica simile a quella di Alma ed Elisabeth nel capolavoro bergmaniano. In questo film la Stewart ritorna diventando unica protagonista, fornendo una performance che è stata molto apprezzata dalla critica.

         La storia dal principio sembra abbastanza canonica per il genere thriller: Maureen (Stewart) è una medium che acquisisce questo speciale (o presunto) dono di parlare coi morti a seguito della recente scomparsa con il fratello gemello. Maureen, lo si nota subito, è persona dall’identità labile, incerta, eppure oscuramente affascinante. Nella vita “normale” svolge un lavoro che sembra apparentemente lontano dal mondo degli spiriti e della forza rimossa, il suo “ritorno”: lavora infatti come Personal shopper. La moda cambia, continuamente, non come le presenze dei morti che ritornano. Il suo capo, un’attrice acclamata, è quel che si dice “una stronza”, e sembrerebbe ci sia poco da dire di questa banale dinamica lavorativa basata sulla dialettica servo-padrone. Assayas, infatti, non sembrerebbe voler conferire troppa credibilità a questo lavoro (non ci fa entrare nei meccanismi del mestiere, lo abbozza piuttosto), più interessato a voler dimostrare come in esso si celino gli stessi fantasmi che la protagonista ricerca/respinge nel suo rapporto con il soprannaturale. Quello che si verifica è il contatto fra luce e ombra che renderà i contorni fra vita psichica e realtà sociale incerti, se non psicotici. Maureen infatti ricerca il fratello – trascinata dalle sue ossessioni, dalle sue paure - ma viene da chiederci se lo faccia per “chiudere” questo rapporto in sospeso, oppure inconsciamente perché non riesce a rassegnarsi alla sua perdita.  Un giorno improvvisamente inizia a ricevere seguito di inquietanti messaggi che sembrano provenire dall’oltretomba, da una presenza che non riesce bene a specificare. È suo fratello deceduto? È qualcun altro? Oppure è semplicemente una persona reale? Ma soprattutto, basterà risolvere questo enigma per far sparire il perturbante da questa storia? No, è la risposta di Assayas.  

         Basta questa ennesima incertezza introdotta nella vita di Maureen per fare esplodere tutta una serie di questioni rimosse dalla sua coscienza, che competono la relazione con il proprio corpo, con l’altro sesso, con la propria identità. Mentre la trama procede seguendo una pista che potrebbe portare allo scioglimento del mistero, sentiamo già che qualcosa si è rotto. È la realtà ad essere andata in pezzi. Virtualmente, spiritualmente, fisicamente. Sospesa fra il mondo evanescente dei fantasmi, della realtà virtuale del mondo delle chat, dei sogni, delle fobie, dei desideri repressi: cosa insegue la protagonista? Una trappola per potersi finalmente liberare da se stessa? Oppure semplicemente vorrebbe essere Keira, la sua boss, donna desiderata e fiera della sua femminilità?

Sono tante domande, è vero, ma è lo stesso film a procedere con un affastellarsi di continui interrogativi e momenti di sospensione. I dialoghi sono tutti relativamente inconcludenti, insoddisfacenti. Lo spettatore aspetta costantemente qualcosa che non arriva, prigioniero di una circolarità di pensieri, situazioni, sentimenti che non lascia tregua.  

         È un thriller Personal Shopper, è vero, ma è anche un film al tempo stesso molto reale (e attuale) che ci permette di osservare la stretta dinamica culturale che lega i momenti di disagio psichico interni alla vita del soggetto nell’era postmoderna a una vita che ormai è diventata sempre più virtuale, ricordandoci così che tipo di esseri frammentati siamo. Il film testimonia al contempo come sia importante combattere per mantenere integro quel minimo di lucidità che ci consente di restare liberi. Questa possibilità è espressa da Assayas attraverso una riflessione metacinematografica che, capace di farci riflettere sulle condizioni relazionali nel nostro mondo ipermediato e iperconnesso, ci fa uscire dal loop temporale che imprigiona la narrativa e ci consente di godere tutta la bellezza del film e di Maureen-Kirsten Stewart, ambigua eroina di tempi incerti.

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