Alla mensa di Barocci
Centinaia, migliaia, decine di migliaia, i dipinti a Roma sono innumerevoli, e ricoprono come una veste le pareti delle chiese e dei musei. Certo, non tutti sono dei capolavori (parola fra l’altro abusatissima!), anzi, molti sono più interessanti per la loro istanza storica che per quella estetica. Talvolta, però, queste due istanze di “brandiana” memoria coincidono e fanno di un dipinto uno straordinario manufatto artistico, ed un importante documento storico.
È il caso dell’Istituzione dell'Eucaristia di Federico Barocci, nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva. Il quadro è stato in prestito ad una mostra a Forlì (“L’Eterno e il tempo tra Michelangelo e Caravaggio”), svoltasi negli scorsi mesi. Non mi dilungherò sulla nocività di tali prestiti, che vanno a togliere le opere dal contesto per cui sono state realizzate e nel quale devono restare… ricordo semplicemente di essere entrato alla Minerva appositamente per vedere il bellissimo Barocci, e di aver provato una grande tristezza nel trovare l’altare della Cappella Aldobrandini vuoto, mentre ai suoi piedi era appoggiata una orribile riproduzione da negozio di souvenir. Anche la vecchina che andava a pregare nella cappella deve essersi sentita persa nel vedere quel vuoto, e, credendo fosse stato rubato, ha urlato a squarciagola: “Al ladro! Al ladro!! Hanno rubato il Barocci!!!”.
Ora finalmente, dopo mesi di latitanza, Federico Barocci è tornato a casa.
Il quadro, commissionato dal papa Clemente VII Aldobrandini per la sua cappella di famiglia, venne realizzato nei primi anni del Seicento (1603-1607), quando il pittore urbinate era ormai celeberrimo e il suo stile si era diffuso in tutti gli stati italiani, permeando di baroccismo moltissimi pittori.
Il papa aveva chiesto al Barocci “una Cena”, ma il pittore non realizza il consueto cenacolo nel momento dell’annuncio del tradimento, come quello celebre di Leonardo, bensì blocca l’azione nel momento dell’Istituzione dell’Eucarestia, durante la consacrazione del pane che presagirà il sacrificio sulla Croce.
La scena è ambientata in un locale chiuso, forse una taverna; sullo sfondo si intravede il luccichio delle stoviglie argentee e il bagliore di una luce che rifulge illuminando i cassettoni del soffitto, mentre dei giovani osti sistemano e puliscono la tavola.
Gesù è in piedi, si erge al centro della composizione, calamitando il nostro sguardo su di sé.
Attorno a lui gli apostoli si radunano, inginocchiati, pronti a ricevere il Sacramento. Solo uno di loro è estraniato, in disparte; vestito di un giallo aranciato (colore dalla connotazione negativa, solitamente attribuito ai giudei), con la testa appoggiata al braccio nella posa melanconica, è una citazione puntuale dell’Eraclito/Michelangelo dipinto da Raffaello nelle stanze vaticane. Si tratta del traditore Giuda, riconoscibile, oltre che per l’estraniazione, tramite il sacchetto dei trenta denari, segno del suo tradimento.
In primo piano due fanciulli si affaccendano con ceste di frutta e bacili d’acqua, fungendo da proscènio e introducendo lo spettatore nella scena. Una composizione sapientemente studiata e calibrata, ma soprattutto superbamente disegnata e dipinta.
Barocci era un abilissimo disegnatore, e anche estremamente prolifico (il corpus dei suoi disegni è paragonabile quantitativamente solo a quello di Leonardo), ma ancor di più era un superbo colorista.
È proprio questa la sua grandezza e la sua modernità, l’unione della maniera toscana-urbinate con quella veneta. Barocci studia i grandi del Rinascimento, Raffaello e Leonardo su tutti, li fa suoi e li reinterpreta in maniera personalissima mediandoli col colorismo veneto, Tiziano e Veronese, e con la pittura parmense di Correggio.
In questo dipinto di Barocci c’è tutto il Rinascimento italiano: la poetica degli affetti e lo sfumato leonardeschi, la sensibilità cromatica dei veneti, e l’apertura (già correggesca) verso quella che sarà la pittura barocca.
Questo quadro però non è solo uno straordinario prodotto artistico, ma è anche un interessante documento storico. Occorrerà ricordare che il Cinquecento era stato travolto dalla Riforma protestante: Lutero, con le sue 95 tesi (probabilmente mai affisse alla cattedrale di Wittenberg), oltre ad opporsi alla corruzione del clero, al nepotismo, alla compravendita delle cariche ecclesiastiche e soprattutto delle indulgenze, si opponeva anche all’intercessione del sacerdote e alla sua mediazione fra Dio e il fedele. Con la Controriforma e il concilio di Trento si sono riaffermate tutte le tesi cattoliche, fra le quali la necessità della mediazione sacerdotale. Altro argomento fortemente dibattuto fra cattolici e protestanti era stato quello della comunione, se fosse più consono prenderla sotto la specie del pane, del vino, o sotto entrambe. Nel 1551 il concilio tridentino sancì che i laici erano tenuti a prendere la comunione sub specie panis.
Così, nel dipinto di Barocci, Gesù come un sacerdote istituisce l’eucarestia sotto la specie del pane; escluso dalla mensa il perfido Giuda sta a simboleggiare il protestante (Lutero), sconfitto dalla Chiesa trionfante. A quasi cinquanta anni dalla chiusura del Concilio di Trento, lo spauracchio protestante non era svanito e continuava ad aleggiare. Per questo motivo bisognava ribadire saldamente le tesi cattoliche.
La prossima volta che passeggiate per il centro, non statevene in disparte come Giuda, entrate nella chiesa della Minerva, sedetevi alla mensa con gli apostoli e assaporate con gli occhi questo straordinario dipinto, l'ultima grande commissione di Federico Barocci.