Quando i dettagli non fanno la differenza: le tele di To Lynn
Manca un pezzo di corpo, a volte anche la testa, altre le linee di contorno. Le tele di To Lynn sono imperfette: è chi le guarda a completarle. “Tutta colpa delle matite”, c’è scritto nella descrizione della sua pagina Facebook. Ma in realtà, lei, gli strumenti del mestiere li sa usare benissimo, anche perché progettare è il suo lavoro.
“Ingegnere edile-architetto”, giusto Antonietta?
Sì, sono un architetto edile, ingegnere. E sfogo moltissimo sull’arte, la mia passione principale da sempre.
Arte e professione sono sempre andate avanti insieme?
In realtà no. C’era un periodo in cui avevo smesso completamente, durante gli ultimi anni del liceo classico e l’università in Calabria. Poi mi ritrovo a Siviglia, per un tirocinio di qualche mese, e conosco alcune persone impegnate nel settore dell’arte: gente molto estrosa.
Hanno riacceso la tua passione?
Sì. Ho pensato: “Visto che nelle cose belle della mia vita ci sono le matite, perché non proseguire?”.
È diventato un lavoro?
No, campo con il mio lavoro principale di architetto. Però, allo stesso tempo, realizzo inaspettatamente tele su commissione. Che sono molto apprezzate anche da accademici, gente che ha studiato. Ma anche io le basi del disegno ce l’ho, provenendo da studi di architettura, e poi da piccola ho preso lezioni da un pittore.
A che età?
Parlo di elementari/medie. I miei genitori, non si sa per quale motivo, a 8 anni mi hanno comprato colori ad olio e l’acqua ragia. L’aspetto curioso è che loro non c’entrano niente con questo ambiente, perché hanno un’azienda agricola.
Ti hanno spinta a proseguire?
Loro mi dicevano: “Fai pure”. Ma è stato tutto molto inconsapevole.
Non ti hanno quindi imposto nulla. Quanto è stato importante questo approccio?
Nel mio caso, penso c’entri l’inesperienza dei miei genitori. Mi ricordo ancora un episodio della mia infanzia. Entriamo in questo negozio di vernici del paese e mi sento dire: “Antonietta, compra quello che vuoi”. Ho preso tutto e con gli strumenti professionali ho iniziato a dipingere. Combinavo dei gran casini! Poi credo sia stata importante la mia “faccia tosta”. Pensa che, quando avevo 12 anni, partecipavo alle estemporanee di paese insieme a pittori che avevano tra i 40 e i 50 anni. C’è sempre stata da parte mia molta inconsapevolezza.
L’hai capito subito della tua vena creativa?
Da sempre. Io a 5-6 anni dicevo che da grande avrei voluto fare la pittrice.
Hai incontrato persone scettiche dei tuoi lavori?
Sai, io dipingo per passione. E ho capito che i messaggi arrivano. Per me, questo è l’aspetto più importante: comunicare.
Che messaggio vuoi dare?
Dipende dalle circostanze. Sono molto influenzata da ciò che accade nel momento. E poi disegno molto velocemente.
In quanto tempo?
Per le illustrazioni neanche 5 minuti.
Colorandoli anche?
Sì. Uso acrilici, colori a cera e i graphos.
I tuoi disegni come nascono?
Spesso prendo ispirazione da una canzone o una frase che mi inviano. L’importante è che non mi diano un’immagine. Se mi danno un’immagine, non mi sento più una persona che pensa un’idea, ma una mera esecutrice. E a me non piace.
Ti aiuta lavorare su commissione?
Per me va benissimo, perché così non ho la proprietà di una tela e non ho poi il problema del distacco. So già che ciò che sto facendo non è per me.
In alcuni dei tuoi disegni manca la testa, altri il volto. È un effetto voluto?
Sì, non sono perfetti. Sono senza dettagli, sta a chi guarda unire i punti. Pensa che a volte nemmeno disegno i contorni, però molti mi dicono che arrivano nei loro occhi come se ci fossero.
Li completano loro?
Sì, non c’è bisogno di unire i punti affinché arrivi l’immagine. A me diverte perché: più tolgo, meno errori faccio. È un modo anche furbo (ndr, ride).
Che rapporto hai con il pubblico?
Molto stretto, ed è incrementato con Facebook. Mi sono detta: “Visto che usa i miei dati, perché non posso usarlo io e diffondere ciò che faccio?”.
E ora ti scrivono da tutto il mondo, soprattutto su Instagram.
È capitato con la serie tv Unorthodox. Una pagina spagnola di fan ha condiviso l’immagine della protagonista, Esther Shapiro, che avevo realizzato.
Sul tuo profilo ho visto commenti anche in inglese.
Sì, ma non facciamo diventare il fenomeno più grande di quello che è.
Però i tuoi disegni sono molto apprezzati.
Forse perché c’è sincerità. Io disegno molto per esigenza. Inoltre funzionano perché le persone mi danno input esterni (canzoni, frasi, etc) ed è come se un disegno che sto facendo fosse già loro. Si inverte il rapporto: non sono io che impongo a loro un disegno o un’immagine, ma sono loro che “impongono a me” un’idea e io gliela sviluppo.
Tra le ultime tele che hai venduto c’è quella di una persona che si tuffa. Com’è nata?
L’input era di concepire una tela per una ragazza “molto determinata, che nella vita si sta realizzando da sola”. Allora mi è venuta subito in mente l’idea dello slancio, di una donna che si tuffa. Una tela molto viva e dinamica.
Il bianco che contorna la figura sembra quasi un animale.
Non lo so, questo dipende dall’osservatore. Io non riesco a psicoanalizzare te! (ndr, ride).
Parlavi di slancio, forza e determinazione. Anche in Avion Travel trasmetti energia.
Mi ha dato l’idea un gruppo musicale di un mio amico, che si chiama la Statale 107bis (per cui ho disegnato anche la copertina di un album). Lui ha realizzato un video, molto artigianale, basato su Sentimento, una canzone degli Avion Travel. Il modo in cui la cantava era fantastico e mi è venuto in mente di disegnarla.
C’è qualche rimando al surrealismo nelle tue opere? Mi riferisco al disegno con gli elefanti e alla somiglianza con celebre dipinto di Dalì.
Non necessariamente. Non è che vado a studiare gli esempi dei pittori passati. Quello dell’elefante è nato dal titolo del libro di George Lakoff: “Non pensare a un elefante”. Che mi ha fatto pensare quanto le parole possano influenzare i comportamenti altrui. Se io ti dico “non pensare a un elefante” tu a cosa pensi?
A un elefante.
Esatto, e questo mi ha fatto scattare la scintilla per la tela.
Surrealista è anche la tela con l’uomo disteso, da cui escono nuvole dalla bocca.
È nata da un gioco durante la quarantena. Mi stavo annoiando, allora ho scritto: “Se qualcuno mi suggerisce una canzone, gliela disegno”. Un ragazzo mi ha mandato una canzone degli M83, un bel pezzo, e da là mi sono messa a disegnare.
Quindi una canzone elettronica, senza parole, ti può ispirare lo stesso?
Per me funzionano in modo uguale le canzoni con e senza parole. A volte accade persino che disegno ispirata da canzoni inglesi di cui non so neanche tutte le parole, e poi, quando vado a vedere il testo, le immagini corrispondono. Magari inconsciamente le ho capite. Chissà.
Parlando di musica, ho visto anche l’illustrazione su Futura di Lucio Dalla.
Me l’ha chiesta una ragazza. Voleva regalare questa tela al ragazzo perché andavano a convivere insieme. Poi hanno usato l’illustrazione per le loro partecipazioni.
E il disegno di un manichino vestito di giallo? Anche quello viene da una canzone?
Sì, Parev’ajere dei Nu Guinea. Anche se, a essere sinceri, ho preso spunto da una foto di un trans a Napoli. L’idea dei “femminiélle” napoletani mi piaceva molto e l’ho riversata così.
Forti i Nu Guinea.
Sì, anche a me piacciono un casino.
Sei un’esperta di musica.
Espertissima no, sono appassionata, soprattutto della musica bella. È anche capitato che la gente mi chiedesse di disegnare canzoni che non mi piacevano: e io mi sono rifiutata.
Mi ha colpito un altro disegno, che ha uno stile diverso. L’abbraccio delle madonne.
Una mia amica mi ha sfottuto un sacco per quella tela. Devo dire che ho amici molto cinici. Con i loro commenti, a volte mi distruggono le tele. Ma per gioco.
Cosa ti hanno detto? Qualcosa di sconcio?
Meglio non dire (ndr, ride). Comunque è un tela che ha 4-5 anni. Pensa che una seconda versione è stata usata da una mia amica per tornare insieme con il suo ex-ragazzo. E stanno ancora insieme. Quindi porto bene.
“Fatevi disegnare una tela da Antonietta perché porta bene”.
Mi pare un ottimo slogan!
Che canzone ti ha ispirato in questo caso?
In realtà mi vergogno a dirlo. È un pezzo di Calcutta.
Orgasmo?
No, no. È più vecchia. All’inizio lui mi piaceva moltissimo. Ora, però, si è commercializzato (anche giustamente).
Parlando di cantanti c’è l’illustrazione con Nick Cave. Peraltro molto attuale, sul distanziamento sociale.
Anche questa devo dire che l’ho tratta fuori da un’immagine. E penso di aver intercettato il senso comune di ciò che stiamo vivendo.
Una tela che ricorre più delle altre è quella della Ragazza con gomito.
In effetti dura da molto tempo. Pensa che ho fatto tre versioni. Di cosa si tratta lo dice già il titolo “Fase rem”.
La tela che piace di più?
La città delle finestre. Erano le due di notte ed ero uscita tardi dall’ufficio, che si trova vicino al Pigneto. Percorrendo il tragitto verso casa mi è rimasta impressa questa immagine.
Invece su quella del fiore gigante tenuto dalla bambina. Cosa mi dici?
Ah, la gentilezza. È nata da una riflessione sul grandissimo potere della gentilezza. Perché oggi c’è questa voglia di esibire forza e super certezza, ma penso che in realtà le persone più forti siano quelle gentili. Che il fiore sia molto grande non ci avevo neanche pensato, me l’hai fatto notare tu.
Forse il fiore più grande della bambina vuole trasmettere il peso della gentilezza?
La psicologia è fuori da queste cose, sta più in chi guarda. Io faccio disegni in modo spontaneo e veloce. Cercare di trovare spiegazioni può essere anche controproducente. Perché una persona può pensare di potermi inquadrare in base ai miei disegni, ma poi in realtà sono tutt’altro. Sta tutto nell’apertura mentale di chi guarda e dai pregiudizi che ha. Spesso le persone si fanno un’idea di te in base a pochi elementi. Per me un concetto base è non farsi dire dagli altri ciò che si è.
Per questo ho deciso di avere un nome d’arte, To Lynn, per essere libera di esprimermi. Pensa che a lavoro ho parlato dopo anni delle mie tele. Peraltro, ora, ho anche colleghi che mi seguono, e non ti nascondo che questo mi provoca un po’ d’ansia. Perché se faccio un disegno in un modo, chissà cosa pensano.
Che significa To Lynn?
Ha un’origine molto adolescenziale, che mi trascino dal liceo. C’è una canzone dei Pink Floyd che si chiama Vera, che si rifa a Vera Lynn, cantautrice del secondo dopoguerra. Quando l’ho ascoltata, è scattato subito un click dentro di me. In particolare durante un passaggio della canzone che dice: “Vera Lynn, ci rivedremo ancora un giorno di sole?”. Questa frase mi ha impressionato molto. To Lynn quindi nasce così. È un nome che mi serviva per essere più anonima e libera di esprimere ciò che penso. Perché io posso anche essere antipatica agli altri, e questo è legittimo, ma non per questo le mie opere non devono piacere.