"Reparto Amleto" al Teatro India: Una comica lotta tra carpe diem ed esistenzialismo
Durata: 60'
Scritto e diretto da: Lorenzo Collalti
È una sera buia e tempestosa, piove sul selciato ormai dalla mattina. Fioche luci illuminano quella che sembra essere una torre di vedetta sul Lungotevere Vittorio Gassman, angusto ingresso nel castello del Teatro India.
Vento sibilante, calpestio fragoroso, lampi di figure dipinte sulle mura interne. Una scena spettrale, da apparizioni notturne, come quella del fantasma paterno nella tragedia di Amleto.
Nonostante il tempo inclemente, il popolo degli spettatori è accorso numeroso a questa prima rappresentazione, apprestandosi ad entrare nella sala del “Reparto Amleto”.
L’ambiente è piuttosto tranquillo. Un infermiere legge sonnecchiando il giornale mentre un signore in carrozzina giace poco distante da lui. È tardi, la mezzanotte è già passata e l’infermiere è stanco, non vede l’ora di timbrare il cartellino per tornarsene a casa. I turni di notte sono i più faticosi, soprattutto se si tratta di sostituire i colleghi. Con lui c’è un altro infermiere, che sgranocchia rumorosamente bruscolini per passare il tempo. Stanotte c’è un paziente in particolare che devono tenere sott’occhio, quello seduto sulla carrozzina, da poco arrivato. Si chiama Amleto, dice di aver ammazzato un uomo, di essere in lite con la madre e di dover tornare ad Elsinora, in Danimarca, a governare il suo regno.
Di persone squilibrate ne hanno viste tante, ma questo è davvero il più strano di tutti: si crede persino principe! I due non s’intendono di teatro, sono già abbastanza impegnati a mantenere aperto il sipario della loro vita, s’impegnano il minimo indispensabile nel lavoro e si godono i frutti del salario. Il primario dell’ospedale conosce invece la tragedia, ma non si spiega il motivo dei vaneggiamenti del paziente per un’opera della finzione. Prova ad interrogarlo ma lui continua a parlare con se stesso, sostenendo di non voler partire per la Gran Bretagna e di voler vendicare il padre uccidendo lo zio.
Nella cartella clinica il medico non ha riscontrato alcuna anomalia, però è preoccupato che il paziente possa dare in escandescenze e rivelarsi violento; decide quindi di proseguire negli accertamenti. Pensando che la sua presenza possa alimentare la reticenza del degente, chiede agli infermieri di rimanere da soli con lui per provare ad estorcergli qualche informazione in più. Dopo un’iniziale titubanza, Amleto inizia a rivelare la sua storia ai due, che continuano imperterriti a burlarsi delle sue affermazioni e delle sue riflessioni, rivelandogli i piaceri che riserva la vita.
Amleto si lascerà trasportare dalle emozioni, ma il sanitario interverrà per sottoporlo ad un ultimo e decisivo test.
“Cos’è Amleto se non un ragazzino troppo piccolo per essere re, abbastanza grande da piangere la morte di un padre con un compito più grande di lui da portare a termine?”
È da questa riflessione che Lorenzo Collalti prende le mosse per costruire il testo di “Reparto Amleto”, in cui viene esaltato il contrasto tra i dilemmi esistenziali raffigurati dal paziente Amleto e la joie de vivre degli infermieri, che preferiscono godersi la vita piuttosto che lacerarsi l’anima con domande a cui non sanno trovare risposta. Ed è dall’esasperazione di questo paradosso che nasce una catena di equivoci e situazioni comiche, con cui s’ironizza su di un dramma che appartiene alla vita di ognuno di noi: perché Amleto non è solo il più famoso personaggio teatrale, ma anche lo specchio delle nostre paure, insicurezze e dubbi sull’esistenza. Allora per quale motivo dannarsi l’anima domandandosi se è meglio essere o non essere quando c’è “Michelino” (ndf) che cucina una cacio e pepe da leccarsi i baffi?
Collalti inventa un testo che trascende il dramma, va oltre le parole scespiriane senza prendersene gioco, bensì scoprendone un lato comico che mostra un diverso approccio alla tragedia. Giocando sull’esasperazione del suo Amleto – stanco di essere rappresentato in modi diversi – non fa altro che proporne una versione ulteriore, in cui lo stesso non si interroga più sul senso della vita, ma su come dare alla propria vita un senso. Un’intuizione geniale per linearità ed efficacia, in grado di far ridere di gusto su temi impegnativi ed esistenziali.
Sul percorso di parole tracciate dall’inchiostro della penna di Collalti prendono vita le interpretazioni di Lorenzo Parrotto, Flavio Francucci, Cosimo Frascella e Luca Carbone. La naturalezza e la spontaneità della recitazione assottigliano quel confine tra finzione e realtà, impreziosendo la messinscena. Lorenzo Parrotto è un medico che appare serio e professionale, senza mancare di occhieggiare ai momenti di svago degli infermieri; questi sono recitati da Flavio Francucci e Cosimo Frascella, il primo un verace romano dalla battuta pronta, l’altro un pugliese diffidente ma pronto a far festa, una coppia esplosiva e trascinante; Luca Carbone è infine un Amleto estremamente comico nella sua goffaggine, che riesce oculatamente a bilanciare momenti spiritosi e riflessivi.
Se Amleto era attanagliato dal dilemma se essere o non essere, lo spettatore rimugina sempre più spesso sullo stesso quesito: “andare o non andare”?
A questo spettacolo andate, perché ne vale la pena.
Foto di: Giulia Castellano
Produzione: Teatro di Roma - Teatro Nazionale in collaborazione con L’Uomo di Fumo - Compagnia Teatrale Spettacolo vincitore di Dominio Pubblico edizione 2017