L'Amletico

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"Morte a Venezia"? O morte di Venezia?

Foto Ellesse

Una fitta nebbia ammanta la laguna, nascondendola dagli sguardi indiscreti dei turisti. Solo qua e là spuntano le sagome di alcune isolette con gli svettanti campanili. La città, appoggiata sull’acqua, sembra galleggiare. E pare davvero un miracolo che gli splendidi palazzi e le chiese stiano in piedi, innalzati su una foresta di pali di legno. Una “Repubblica di castori”, sapientemente issata da roditori improvvisati.

L’umido risale dagli stretti canali e ti pervade fin dentro le ossa. L’acqua comincia a salire: sgorga miracolosamente dalle rocce, zampilla dai tombini, fuoriesce dalle pavimentazioni, e nel giro di pochi minuti ricoprirà piazza San Marco, riprendendosi quello che l’uomo faticosamente le ha sottratto. Un’improvvisa agitazione pervade la città, si cominciano a preparare le passarelle, dove i passanti saranno costretti a sfilare, accalcandosi, per evitare di sguazzare nella piazza.

Foto Ellesse

 

L’imponente basilica sovrasta lo spazio rettangolare, le sue cupole dal sapore orientale sembrano schiacciarla; i marmi policromi e le colonne la rivestono, formando uno splendido palinsesto.

Come tante formiche, i turisti si dispongono in fila per entrarvi con telefoni alla mano, pronti per fotografare e fotografarsi di fronte alla pala d’oro e ai quattro cavalli, che vorrebbero correre via ed attraversare nuovamente l’Adriatico.

Foto Ellesse

 

Ieri i gran turisti accorrevano a Venezia per accrescere la propria formazione e i loro studi, vi trascorrevano settimane, mesi, si preparavano al viaggio con attente letture, e una volta in città ne ammiravano tutte le opere dei grandi artisti. Scrittori, pittori e mercanti di ogni etnia affollavano le piazze e le calli della città.

Oggi questi piccoli turisti, nuove genti venute dall’Est e dal Nuovo Mondo, si muovono in gregge, recintati in piazza San Marco, con il principale fine di scattarsi selfie e comprare orrendi souvenir, sotto lo sguardo attonito dei tetrarchi.

Ieri il maestoso bucintoro celebrava il rito dello sposalizio con il mare; oggi, mastodontici grattacieli acquatici offendono la città, e, nell’attesa che qualche capitano si inchini al suo cospetto e travolga il palazzo Ducale, traghettano adoratori dell’effimero, pronti a consumare la Serenissima.

 

Tintoretto, quasi dimenticato, piange nell’Orto. A Zanipolo, un tempo palestra d’arrampicata per un giovane Ruskin, i dogi dormono indisturbati nei loro sepolcri. A cena con Levi sono rimasti solo mangiatori di riso ed hamburger.

I cittadini sono decimati, come neanche nella peggiore delle pestilenze. Attraccati perlopiù sulla terraferma, per mancanza di lavoro e per l’aumento esorbitante dei prezzi degli immobili, hanno lasciato le loro dimore in mano a ricchi signori, che le “abitano” pochi giorni l’anno.

56mila gli abitanti del centro storico (in continua e drastica diminuzione negli ultimi decenni), a fronte dei quasi sette milioni di turisti che la riempiono ormai ogni anno. Uno scompenso enorme, che altera fortemente gli equilibri della città.

Una città per vivere ha bisogno dei suoi abitanti, del suo popolo, linfa vitale che deve necessariamente scorrere nelle sue arterie, nelle piazze e nelle vie. I vecchi mestieri e le antiche botteghe non ci sono più, l’Arsenale, centro di costruzione delle navi che hanno solcato i mari d’Europa, un tempo cuore pulsante della città, è oggi ridotto a scenografia per la Biennale.

Come se non bastasse, presunti progetti avanguardistici dai nomi apocalittici (Acqualta 2060), vaneggiano di costruire una cinta di grattacieli intorno alla città per proteggerla dall’acqua alta, idea assolutamente aberrante. Tanto vale affrettarsi a “colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi” (Filippo Tommaso Marinetti, "Contro Venezia passatista", 1910).

Questo ed altri progetti malsani ristagnano nella laguna, imputridendola, insieme agli scarichi delle navi grattacielo. E come dimenticare l’idea di un parco a tema sulla storia della Serenissima col nome di “Veniceland”? Trovata fra il ridicolo e il kitsch, che, oltre a distruggere la visuale della città con l’enorme ruota panoramica che sarebbe sorta, l’avrebbe offesa. Perché creare un parco giochi sulla storia della città quando essa è proprio lì sotto il cielo a portata di tutti?

D’altronde non è una novità, trovate simile sono già emerse, dalla Jurassic Pompei alla Disneyland dell’antica Roma, città evidentemente ritenute troppo noiose.

Nel frattempo il sogno di Pierre Cardin, quello di costruire una mega torre da 250 metri, il Palais Lumiére, pare fortunatamente sfumato. Il famoso stilista avrebbe voluto finanziare questa immensa costruzione che fece discutere fin dalla primissima ora. Ma, come ebbe a dire un ex-sindaco di Venezia, “a caval donato non si guarda in bocca”. Ricordiamoci però della fine di Troia, e cerchiamo di ascoltare il Laocoonte di turno…

Nel mondo si moltiplicano le imitazioni di Venezia, campanili di San Marco e ponti di Rialto spuntano da Las Vegas a Dubai, sintomi di una società sempre più afflitta da una globalizzazione nociva che tende a cancellare la ricchezza della diversità; ma la Serenissima resta un unicum inimitabile, e va protetta, tutelata.

Nella farmacia Morelli a campo San Bartolomeo, un contatore segna ogni giorno il numero di abitanti di Venezia, in costante diminuzione. Bisogna fermare questo countdown, invertire la rotta, per evitare che la città diventi un ricordo, una mera scenografia per turisti, un Disneyland in tutto e per tutto.

Una città senza il suo popolo è una città morta, e, “Se Venezia muore”, con lei muore anche una parte essenziale di noi, della nostra civiltà e della nostra storia. Che san Rocco risani Venezia da questa oscura pestilenza che la affligge, o che un nuovo messia eriga un bronzeo simulacro per sconfiggere le velenose serpi.

Foto Ellesse