L'Amletico

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Salgado ritorna in Amazzonia per ritrarre gli indigeni isolati (ma non troppo)

L'indio Kulutxia ha visto un'uomo bianco per la prima volta nel 2015. (Sebastião Salgado/Contrasto)

Il fatto che nel nostro mondo iperconnesso sussistano ancora degli esseri umani che vivono isolati nella giungla amazzonica è una questione antropologica a sé stante. E non c'è  fotografo in grado di ritrarre meglio questo modus vivendi di Sebastião Salgado.

È ciò che si vede e si sente nel guardare le nuove 25 fotografie del progetto "Amazzonia", risultato della permanenza di Salgado tra gli índios korubos, una delle tribù più isolate del mondo che abitano la foresta brasiliana nei pressi del confine con il Perù. Precisamente, Salgado ha soggiornato per una ventina di giorni in due villaggi dove, in un modo o altro, gli abitanti erano già stati contattati dai bianchi.

Contatto traumatico e nefasto

Questo contatto indebolisce le tribù, e spesso avviene in modo traumatico e nefasto. Sia tramite la presenza ogni giorno più consolidata dei controversi missionari che vogliono convertire i "senza anima" (come accade sin dal primo sbarco portoghese nel 1500), oppure dai "madeireiros" che si inoltrano nella foresta alla ricerca di legno pregiato. Senza dimenticare della selvaggia caccia al tesoro dei "garimpeiros", uomini che vogliono sfruttare il suolo incontaminato e che, per trovare dei metalli preziosi, ignorano la demarcazione invadendo le terre protette.

Ahimè, a questa lista si aggiungono il Congresso e il presidente della Repubblica brasiliana, la cui legislatura è nettamente favorevole all'espansione dell'agricoltura industriale e degli allevamenti intensivi del bestiame. E se il governo è contrario alla demarcazione delle terre indigene, per rimarginare questa ferita storica della società brasiliana ci vogliono tutti gli strumenti alternativi disponibili.

ciò che deve essere davvero (s)coperto

Il lavoro di Salgado è un' ode ai diritti fondamentali degli indios, alla loro terra ancestrale ed al rimanere isolati nella giungla. I corpi nudi, il pene legato, il seno libero che ancora sconvolgono la società "civilizzata" e che spiccano nelle fotografie, invitano la mente occidentale a ragionare su ciò che deve essere davvero (s)coperto.

I ritratti sono statti fatti sia in una sorta di studio che Salgado ha allestito nei villaggi, sia durante le diverse attività quotidiane di donne, uomini, bimbi e giovani korubos che garantiscono loro la sopravvivenza. Parlano di convivialità, tradizioni, cultura e abitudini dei popoli della foresta, nella loro complessa e inconsapevole semplicità di "essere" vivi, senza governo o religione, affidati alla Natura e ai loro Dei.

Con le fotografie pubblicate oggi non ci sono state dichiarazioni dell'autore. Le testate però hanno affermato che potrebbe essere l'ultimo grande lavoro che va altrettanto aggiunto all'incommensurabile eredità di Salgado. Mentre aspetto l'anteprima di "Amazzonia", inizio a formulare delle domande a fare a Salgado. La domanda fondamentale non comporterebbe parole, forse uno sguardo consenziente e silenzioso sulla fotografia che lui non vorrà mai fare: l'ultimo índio isolado

Il copyright delle fotografie sono di Sebastião Salgado (Contrasto)