Un Banksy all’aria aperta vale più di 100 al museo
Uno dei luoghi pop della cultura capitolina ha appena inaugurato una mostra su Banksy, l’artista anonimo più conosciuto al mondo. Che sia chiaro, le opere in esibizione provengono da collezioni private. Ciò significa che sono opere realizzate ad hoc per il mercato dell’arte e che per avere il certificato di autenticità i proprietari hanno speso ulteriori somme. Soldi che l’artista britannico impiega anche per contrastare l’inerzia dei governi europei davanti all’emergenza nel Mediterraneo. Infatti, la sua ultima opera naviga nelle calde acque del bacino a bordo della Louise Michel, un'imbarcazione di salvataggio finanziata dall’artista. Dato che l’Italia si trova nell’occhio dell’uragano, magari un giorno Louise Michel approderà in porti (aperti) italiani permettendo, a chi avrà la fortuna, di osservare da vicino la ragazza che tiene un salvagente a forma di cuore.
Questa scena ipotetica, invece, per me sembra essere il modo più coerente di presenziare un’opera “banksyiana” col copyright delle strade. C’è bisogno del contesto, degli odori, dei rumori per inoltrarsi nell’animo dello sconosciuto e infiltrarsi nella sua opera. In Italia abbiamo la fortuna di poter inciampare in un Banksy a Napoli. Ahimé, la prima opera sua nella Penisola è stata coperta da un altro murales, cosa che scatenò l’ira di molti. Rimasero soltanto delle fotografie della versione stencil di Banksy all’estasi di Santa Teresa del Bernini. Però, nel cuore di Napoli, c’è sempre la Madonna con la Pistola da andare a vedere. Oggi l’opera è custodita da una teca incorniciata al muro.
L’anno scorso l’artista di Bristol è tornato nel Belpaese; questa volta sbarcando a Venezia per la biennale d’arte, lasciando la sua marca sul muro che bacia l’acqua dei canali vicino a Piazza Santa Margherita. L’opera ritrae un ragazzino con un giubetto salvagente che alza un razzo segnaletico color rosa. Si vede che Banksy ce l’ha con la politica migratoria italiana…
Ebbene, l’ultimissima opera in suolo italiano è stata una installazione in cui Banksy alzò baracca e burattini nel cuore di Piazza San Marco per denunciare lo scempio delle navi di crociera che attraversano il Gran Canale. E così questionare sul perché non è stato mai invitato a esibirsi alla biennale d’arte della Serenissima.
Personalmente, la prima volta che vidi un Banksy ero in Palestina. Appena superato il terribile checkpoint per West Bank, arrivai a Betlemme. Tra Marhaba e Welcome salii subito su un taxi per fare il “giro di Banksy”. Ricordo l’orgoglio dell’autista nel raccontare il significato di ciascuna delle opere e la tenacità nel difendere l’arte. Raccontò che tutta la comunità si è sentita rappresentata e che l’artista aveva colto con maestria lo spirito di quella terra e le sue disavventure. Infatti, lì più che mai sentii la forza della cosiddetta “street art”, in grado di abbattere muri dello spessore di quello che divide la Palestina in due, ma inoffensiva quando racchiusa tra gelide pareti.