zeitkratzer & She She Pop "The Ocean is closed" : L’incubo sonoro
Prezzi: da € 15 a € 20
All’inizio una leggera percussione sulla grancassa. Un impercettibile pizzicato del violoncello e del violino. Un debole suono del trombone. Un’inavvertibile melodia del pianoforte. I colpi sullo strumento a percussione assumono poi maggior consistenza; lo sfregamento delle corde diventa più forte; il suono del trombone inizia a farsi minaccioso; il rumore del pianoforte acquista sempre più importanza. La membrana del tamburo è infine penetrata, le corde degli archi strappate, l’asta del trombone umiliata, i tasti del pianoforte violentati. Apocalisse sonica. Frastuono ineffabile. Boato spaventoso. Un esercito terrificante di suoni invade il teatro. Le poltrone vibrano, le luci tremano, le persone si agitano di fronte all’inaspettato terrorismo sonoro.
Ma come si inizia?
È questa la prima delle numerose domande su cui i componenti dell’ensemble zeitkratzer e i tre membri del collettivo She She Pop si interrogheranno nel corso dello spettacolo. E se lo spettacolo continuasse con la stessa canzone?
La loro evidentemente è una provocazione; ma non più di tanto. I zeitkratzer sono noti per il loro anticonformismo, per la loro musica noise, sperimentale, fuori da ogni convenzione. Nell’inferno sonoro da loro generato, ricercano tuttavia un ordine, uno schema preciso dove ogni rumore trovi la sua collocazione. È questo uno dei motivi per cui il loro direttore, il pianista Rinhold Friedl, è profondamente apprezzato nel panorama musicale, per aver cercato e continuare a cercare di dare ordine al caos, per aver sperimentato diversi modi di suonare senza fermarsi all’approccio canonico, rendendo il suo pianoforte più simile all’intonarumori ideato da Luigi Russolo nel 1903 che non allo strumento aduso a deliziare l’udito.
In questo concerto anti-sinfonico, l’obiettivo degli She She Pop è di porre in relazione il pubblico con questa tortura acustica. Non è sicuramente semplice mettere in scena uno spettacolo del genere; e loro lo sanno, come rivelano apertamente. Giocano quindi a rendere comico ciò che può apparire grottesco, come quando – durante una delle melodie da acufene – domandano al pubblico in modo retorico di tossire se vogliono far terminare la canzone (naturalmente si scatena una tosse generale); oppure nel momento in cui chiedono agli spettatori di illuminare con i loro telefonini “i bei momenti”, che indubbiamente sono ben pochi di fronte all’atmosfera lugubre generata dal corale lamento di Arianna “Lasciatemi morire” scritto da Claudio Monteverdi.
Dunque uno spettacolo interamente sperimentale, in cui brillano gli sgargianti costumi indossati dagli attori durante l’esibizione e stimolano le storie raccontate da Maurice De Martin (vincitore illo tempore del premio per batterista più veloce in America) e dall’attrice Ilia Papatheodorou (mai più andata ad un concerto jazz dopo esservi stata sorpresa dalle telecamere della televisione nazionale insieme ad un “biondo” del quale si era invaghita, smascherando così la bugia che le aveva permesso di assentarsi dal lavoro).
Tutto ciò viene oscurato dalla traduzione simultanea – che di simultaneo ha poco, atteso che non riesce a stare al passo con gli attori (e spesso si rivela anche fuorviante) – e dalla musica tetra e masochista degli zeitkratzer, che porta i timpani ad implorare pietà. A quest’ultima si aggiunge inoltre la lingua usata per lo spettacolo, il tedesco, la quale non fa che acuire lo stridore dei suoni e modella i loro volti rendendoli taglienti, spigolosi. Il contrario di quanto accade invece quando Ilia Papatheodorou si esprime improvvisamente in italiano. Il suo volto cambia incredibilmente conformazione. Le sue labbra sembrano sorridere, i suoi occhi si aprono, le sue guance si riempiono. È sorprendente come una lingua possa trasformare le nostre persone, cambiare lo strumento che siamo e suoniamo.
L’originalità dello spettacolo è indubbiamente degna di nota, ma, come viene detto durante la messinscena “se vuoi improvvisare, ti devi prendere la responsabilità”. E chissà che l’uscita dal teatro di metà del pubblico durante l’esibizione non fosse proprio uno dei loro obiettivi. Probabilmente gli attori già si aspettavano che solo pochi sarebbero sopravvissuti a questo eccidio musicale.
E se anche questo fosse un modo di finire?
Direzione artistica Sebastian Bark, Reinhold Friedl, Lisa Lucassen
Scene, Costumi: Lena Mody Suono Robert Nacken
Luci: Andreas Harder
Drammaturgia: Arved Schultze
Direzione di produzione: Michal Libera