Dove: Teatro Vittoria
Quando: dal 5 al 17 novembre
Orari: da martedì a sabato ore 21, Domenica ore 17
Costo biglietti: da € 16 a € 25
Il maestro del teatro di narrazione Ascanio Celestini torna in scena in Prima Nazionale per Romaeuropa festival al Teatro Vittoria dal 5 al 17 novembre, per raccontare le sue Barzellette. Lo spettacolo, coprodotto da Romaeuropa, nasce dal libro omonimo firmato dallo stesso Celestini e pubblicato da Einaudi.
“Mi sono dedicato alle barzellette per piacere, perché mi piacciono. Mi piacevano da ragazzino e adesso. La barzelletta, in fin dei conti, è un racconto orale: è una scrittura che vive e muore nell’oralità. Quelle che non si capiscono, non sono più raccontate: sono legate al tempo, al momento. Vivono come le fiabe e sopravvivono solo se si sanno trasformare. Le fiabe popolari non esistono più: oggi sono quel che ne ha fatto Walt Disney. E non hanno più la comprensibilità che avevano: di Cappuccetto Rosso si è perso il significato del viaggio iniziatico, si è smarrita l’immagine del “bosco”. Cos’era un bosco per un contadino, per un pastore o per un carbonaro? E per un ragazzo di oggi? Ecco, se la barzelletta non ha un legame diretto con l’immaginario non è comprensibile” - racconta Ascanio intervistato da Andrea Porcheddu.
Le barzellette di Celestini sono storielle raccolte da un capostazione dai viaggiatori sconosciuti che transitano senza lasciare traccia nella stazione terminale in cui lavora. Qui un becchino attende un morto “di lusso”, un emigrante che ha fatto fortuna all’estero e che sta tornando al paese per farsi seppellire. Incastonate in una struttura narrativa sempre aperta all’improvvisazione, le barzellette di Celestini attraversano mondi e culture, descrivono popoli e mestieri e ci ricordano che possiamo ridere di tutto, soprattutto di noi stessi: La barzelletta è accompagnata da regole, preceduta da frasi che conosciamo bene: “non le ricordo”, “non le so raccontare”, “non le capisco”. E sono un gioco. Se analizziamo i giochi, troviamo le stesse frasi: “non so giocare”, “non conosco le regole”. Considerandole giochi, scopriamo gli ambienti, il campo semantico. Per capire davvero la barzelletta, dobbiamo dunque contestualizzarla. A partire dal ridere, dalla risata. Come ridiamo? Beckett, Čechov o Kafka ridevano per i propri testi: perché? Sappiamo che una persona ride per il solletico quando è un’altra a farlo. Il solletico smorza la tensione muscolare. Così la barzelletta: smorza una tensione, sposta l’attenzione da una parte all’altra. Perché di fatto stiamo giocando: prendiamo un argomento serio, su cui normalmente ci scanniamo o ci troviamo d’accordo, e lo spostiamo su un altro piano. Possiamo parlare di “negri”, “froci”, “puttane”, litigare o peggio convenire, ma la barzelletta ci permette di farlo, ridendo.”.
E alla domanda su come tutto questo sia diventato uno spettacolo risponde: “La storia è quella di un personaggio che racconta e raccoglie barzellette. Volevo condividere l’immaginario delle barzellette. Insomma: scopriamo le carte e giochiamo a qualsiasi gioco. Affrontiamo
qualsiasi argomento. Achille Campanile, nel “Trattato delle barzellette”, raccomanda di fare attenzione al modo di raccontare, e dà consigli anche a chi ascolta: “se la conoscete già, ridete lo stesso!”. Allora la barzelletta è il raccontare, è il contesto, è la performance. Con un passo indietro: non è importante chi racconta ma la barzelletta stessa”.