Dal 20 al 30 luglio (ore 20, sabato 24 luglio ore 19) la platea del Teatro Argentina, completamente riempita dalla sabbia e liberata integralmente dalle poltrone, si lascia invadere dalla satira del potere, il gusto per la provocazione e la sperimentazione linguistica dell’UBU RE di Alfred Jarry, testo imprescindibile del teatro contemporaneo ora presentato in una nuova traduzione per la scena con la regia di Fabio Cherstich che si intreccia alla visionarietà di Luigi Serafini, artista, architetto e designer noto nel mondo per il suo geniale Codex Serahinianus.
Capolavoro universale ormai più che centenario – la prima dello spettacolo fu nel 1896 – Ubu re è rimasto nel tempo un folle spaccato sempre attuale: il personaggio di Padre Ubu è la personificazione dei più sconsolanti aspetti della condizione umana, grottesco, maleducato, avido, goloso, stupido, arrogante ma paurosissimo, brama il potere ma non sa gestirlo, «simboleggia l’apoteosi del ventre e il trionfo del grugno nella Storia universale». In questa creazione Fabio Cherstich e Luigi Serafini – membro del Collège de Pataphysique, da cui discende lo stesso Jarry – tracciano sulla sabbia, che accoglie un arenile suburbano come scena surreale per questa nuova versione di Ubu Re, un attacco poetico e terribile alla società, alle sue regole e alle sue convenzioni, con un approccio site-specific per ripensare l’opera attraverso una specifica struttura visiva e drammaturgica, spostando le possibili letture del testo: Jarry si fa personaggio, emergono per la prima volta alcune interpretazioni e giochi linguistici, la lingua si connota, “sporcando” la scena teatrale di napoletano e di francese. Seguendo la lezione della Patafisica, scienza delle soluzioni immaginarie, l’immaginazione in Ubu Re diventa categoria di lettura della realtà; così compaiono strutture di tubi innocenti, costumi che assomigliano a opere d’arte e altri marchingegni, in uno spettacolo che pone uno dei testi fondamentali del nostro teatro in dialogo con l’arte visiva, la storia, la letteratura.
Lasciandosi reciprocamente compenetrare e completare dall’arte dell’altro, in una collaborazione unica nel suo genere, Cherstich e Serafini, riuniti in questo processo creativo e nuova produzione del Teatro di Roma, hanno operato sullo straordinario e prorompente materiale entrando nella maniera più incisiva a contatto con l’opera: i due artisti si sono infatti dedicati assieme alla traduzione del testo, assorbendone non solo le tematiche ma i ritmi, le vibrazioni, per restituirli in sala attraverso la lente brillante e originale con cui leggono il mondo. «Théâtre de l’Œuvre di Parigi, 10 dicembre 1896. Tra applausi scroscianti, insulti e violente scazzottate, debuttava l’Ubu Roi, opera prima di Alfred Jarry – si legge nelle note di regia – Nella Parigi fin de sìècle, dopo i traumi provocati dalla caduta del Secondo Impero e poi della Comune, cominciarono a comparire inaspettati personaggi. Alfred Jarry fu uno dei primi componenti di una sorta di genio-guastatori, che metterà in crisi tutti i paradigmi preesistenti, per dare così forma alla Modernità. “L’uscita è da quella parte, prego!” recitava un cartello presente in sala, al Théâtre de l’Œuvre. Era il primo di una serie di schiaffi alle convenzioni, che caratterizzavano quello spettacolo-manifesto. Alfred Jarry fu intellettuale ribelle e raffinato provocatore, ciclista instancabile, consumatore di assenzio e che fece dell’immaginazione l’unico strumento di sopravvivenza nella cosiddetta realtà. Definito proto-dadaista dai dadaisti, proto-futurista dai futuristi, proto-surrealista dai surrealisti, proto-assurdista dagli assurdi e proto-postmodernista dai postmoderni il suo lavoro li ha preceduti tutti e ha trovato nella scrittura di Ubu la sintesi perfetta. Il personaggio di Padre Ubu “simboleggia l’apoteosi del ventre e il trionfo del grugno nella Storia universale” e non offre altro che la personificazione dei più sconsolanti aspetti della condizione umana. Ubu è un uomo come tutti, che si ritrova quasi per sbaglio a essere a capo di tutti, suo malgrado. Per Jarry “potrebbe anche essere l’anarchico perfetto se non avesse quei tratti umani che impediscono a ognuno di diventare perfetti anarchici”. Sua moglie è ugualmente ripugnante nell’aspetto e negli atteggiamenti, brama il potere, ma, a differenza di Padre Ubu non teme nulla ed è disposta a tutto pur di ottenerlo. Jarry come Lautréamont saccheggia tutto e tutti: le leggende bretoni e medioevali, la propria biografia, il teatro popolare, i burattini e Shakespeare. Padre e Madre Ubu interpretano le ambizioni politiche come Macbeth e Lady Macbeth: Madre Ubu spinge Padre Ubu a uccidere il re di Polonia per rubargli la corona. Ci riuscirà ma verrà poi sfidato da Bugrelao, figlio del re morto. Vediamo i fantasmi dei re ancestrali, come in Amleto, e il tradimento senza fine di Riccardo III. Eserciti che lottano con sé stessi, contadini con nomi di nobili trucidati sulla pubblica piazza, macchine per decervellare e parate d’ispirazione sovietica. Tutto questo è Ubu Re. Alfred Jarry era nato a Laval in Bretagna, una delle rare città dal nome palindromo e i palindromi sono quei fenomeni linguistici che riuniscono tutti gli alfabeti, sia a direzione destrorsa che sinistrorsa, alludendo, chissà, a quella lingua universale e prebabelica, dove forse si leggeva tutto dall’inizio alla fine e viceversa. E anche il nome di Ubu è un palindromo…».