Tupelo Hassman – "Bambina mia": Trailer park blues
Traduzione a cura di: Federica Aceto
Casa editrice: 66thand2nd
Edizione: 2014
Pagine: 206
Negli Stati Uniti coloro che abitano nei trailer park, sono ormai diventati sinonimo di povertà, ignoranza e promiscuità. Non è raro rintracciare questa tendenza sia in letteratura che in altri contesti e Bambina mia di Tupelo Hassman non fa eccezione: ricalca tutti gli stereotipi associati ai trailer park e alle persone che li abitano, ma lo fa con grazia e disperazione.
La protagonista, di cui seguiamo la vita dai 7 ai 15 anni, ci parla in prima persona, come se l’intero libro fosse una lunga seduta psicoanalitica in cui le reticenze nel raccontare gli eventi traumatici trovano un perfetto contrappunto nella suggestiva idea dell’autrice di presentarci una pagina , sì scritta ,ma interamente oscurata da pesanti segni neri su ogni riga, in modo da farci intendere cosa sia successo senza mai scadere nel voyeurismo. Il lettore sarà quindi in grado di riempire i vuoti, ma dovrà farlo senza la complicità dell’autrice che si distacca dalla responsabilità di coadiuvare tale dolorosa presa di coscienza.
L’autrice narra un microcosmo fatto di bariste con più figli di quelli di cui siano in grado di occuparsi, signori apparentemente gentili ma con biechi doppi fini e di adolescenti cresciute fra orribili abusi che hanno, allo stesso tempo, sia il ruolo di vittime che quello di carnefici.
Bambina mia, può ricordare da un lato Joyce Carol Oates e la sua tendenza a dare voce a personaggi che vivono situazioni tanto disagiate quanto comuni; dall’altro invece, con la sua carica di denuncia sociale, pesca nel naturalismo.
A metà strada tra la favola ed il romanzo di formazione, il libro della Hassman racconta una storia purtroppo comune, ma in grado di dare voce al disagio, trasmettendo al contempo l’idea che sia possibile sopravvivere al peggio.
Gradimento: 7/10
*v. fonti in calce
altre recensioni
Goodreads (3.52/5)