Le Lune di Lascaux

These images are memories of long forgotten dreams.
— W. Herzog
  • Queste immagini sono ricordi di sogni a lungo dimenticati. Questi battiti sono i nostri, o i loro? Saremo mai capaci di capire le visioni degli artisti oltre un tale abisso temporale?  – W. Herzog, Cave of forgotten dreams

 

Secoli di metafisiche, di religioni e di lunari qabalistici ci insegnano che la storia è circolare e tutto, compresi noi, voi e queste stesse righe, è destinato a tornare infinite volte. Alle dottrine di Nietzsche e di Eraclito fino a quelle di Blanqui e degli stoici che professano l’eterno ritorno dell’identico a livello cosmico, se ne aggiunge un’altra che è l’eterno ritorno del simile.

Se il mondo è destinato a ripetersi nelle sue incontrovertibili simmetrie, moltiplicando per l’eternità questa stessa notte e le sue nuvole e il numero degli uccelli in volo, più arbitrario è invece il numero e le forme che assumerà il cielo nel corso della nostra esistenza. Passiamo dunque dal cerchio alla spirale.

Per l’uomo la storia universale è un libro dalle pagine simili l’una all’altra, che variano d’una virgola e forse d’una parola; per Dio invece quel libro consta d’un sol punto ripetuto infinite volte.

Così sappiamo che prima di Waterloo vi fu Carre, e che i destini di Hirohito e Napoleone si equivalgono se equiparati a quelli dell’insondabile divinità.

Allo stesso modo la storia e la natura che amano ripetersi e confondersi, ci ricordano che prima di Pompei e della Villa dei Misteri, l’umanità ha conosciuto le grotte di Lascaux e Altamira (e dopo di queste, nascoste sotto le betulle e i rampicanti, riconoscerà Chernobil e le sue case).

Nelle caverne Dioniso viene allora sostituito dagli uri, i tori lunari che sopravvissero fino alle porte di Babilonia, i riti misterici dalle cacce al cervo e al mammuth, mentre cavalli e uomini ritratti in quel minimalismo fatto di contorni netti e scarni prefigurano già archetipi e idee universali, anticipando La Linea di Osvaldo Cavandoli e il design post moderno.

Quello che ci colpisce a Lascaux, è ciò che “freme”. Un sentimento di danza dello spirito ci innalza di fronte a queste opere in cui la bellezza, priva di regole, promana da movimenti febbrili: di fronte ad esse ciò che ci s’ impone è la libera comunicazione tra l’essere e il mondo.
— G. Bataille, Lascaux. La nascita dell'arte

A Lascaux, Altamira e in tutte le grotte che fanno dell’Europa e dell’Africa, dell’Australia un cielo popolato di pleiadi sotterranee, si aprono le porte di un mondo sospeso, dove alle orme di uomini e animali corrispondono le impronte uraniche di Buz Aldrin sulla Luna.

18.000 anni e 385.000 chilometri separano l’uomo di Lascaux dall’homo lunaris, nel mezzo le glaciazioni, il Vietnam, Raffaello, la ghigliottina di Place Concorde,  Mastroianni, Casa Batlló, la latinizzazione della lingua araba, il dollaro, Buster Keaton, i dervisci di Samarcanda, la monarchia, l’espressionismo tedesco...

Deve commuovere quest’umanità che ha dormito sotto molti soli e molte lune, che additava un mondo ancora senza nome, dove l’uomo era l’eccezione alle fiere e alla pietra.

Eppure in questo farsi e disfarsi della storia, presagiamo che l’uomo delle caverne ci è vicino non meno dello yuppie che vive al 35° piano d’un grattacielo di Manhattan. Un padre più antico della ruota e della scrittura ha sognato i tori di Lascaux e lo scopriamo, oggi, nostro contemporaneo. Nulla, se non tutto che è l’indifferente, ci separa da lui.

Lascaux, o “La Cappella Sistina del Paleolitico” per via delle sue pitture parietali, dove abulici cacciatori rivaleggiano idealmente con Adami e santi michelangioleschi. Ma è alle anonime cattedrali duecentesche che essa assomiglia, nelle quali l’opera si confonde con l’autore, la pietra con la carne.

Ci resta però una firma, che è per la grazia e la poesia, il venire al mondo di tutta un’umanità. Impronte rosse di terra e di sangue, di petali pestati nella pietra, è ancora un atto magico e archetipale come quello dei bambini e degli sciamani che trovano nel contorno di una mano l’uomo e il divino.

La scienza, che è passata dall’incudine al microscopio, dal fabbricare frecce alla scissione dell’atomo, ci informa che 5000 anni è il periodo trascorso dalla prima all’ultima mano impressa nella roccia. Secoli di braccia tese al cielo, dalle falangi e i palmi ocra, che oggi come ieri, dalle grotte della Spagna ai muri del Marocco, tornano ad interrogare la sabbia, la pietra, e l’uomo. Tutti di nuovo legati alla rivelazione dell’inatteso.