Il Vino di Piero Ciampi: Un Canto Alcolico Sulla Finitezza
Ci sono canti che grondano, sanguinano vita; voci che riescono ad articolare il difficile discorso dell'umana sventura nello spazio di tempo di una canzone. Ecco che è sufficiente ascoltare Il Vino di Piero Ciampi per cogliere la sintesi di un cammino artistico ed esistenziale, che ha tentato, tra Livorno e il mondo, di plasmare poeticamente l'insofferenza dello stare, gli eccessi, il fallimento, la vita randagia.
È da "dentro a un fosso" che si innalza la voce di Piero Ciampi, dalla terra guadagnata vacillando, dall' "acqua sporca", e tenta il proprio riscatto nella speranza della propria arte. Di fronte alle parole di Ciampi si pensa alla vita, alla miseria che ciascuno ha avuto in sorte, all'arte come necessità viscerale e come sola e unica possibilità. Lo sguardo del livornese dal fango si volge agli astri e, al cospetto delle alte sfere, non si perde nell'infinità, ma torna alla melma di una vita, la sua (e la nostra), di cui già conosce l'inevitabile brevità.
Non era infrequente che Ciampi salisse sul palco sbronzo, fatto di vino, destando lo sgomento dei benpensanti. Il vino, però, è in lui il segno dell'esaltazione nella negazione di sé, è figura di un destino vissuto appieno col suo marchio speciale di speciale disperazione. Le musiche di Gianni Marchetti accompagnano, in un crescendo di inquietudine orchestrale, questo carme etilico sulla finitezza che è Il Vino.
Il pezzo si chiude nella speranza; una speranza per nulla consolatoria, che ci ricorda l'attitudine rissosa e inquieta di Piero Ciampi, di chi, nonostante tutto, continua a fottere la vita.