A prova di proiettile

Mi sveglio senza capire dove sono, i miei occhi hanno come unico riscontro un soffitto. Brutto. 
Lascio vagare lo sguardo e riconosco una foto di me da bambino.
Bambino. Foto. Soffitto brutto: sono a casa dei miei genitori, non so come ci sono arrivato né come uscirne.
A dirla tutta non so nemmeno dove siano loro.
"Tesoro, vuoi qualcosa da mangiare?"  la sento dire.
Guardo il soffitto.
Il soffitto, a casa dei miei, è tipico degli anni novanta e ha quell'orrendo controsoffitto che non occupa l'intera  superficie, ma si permette di asfissiarti la vita ai lati, restringendo il respiro.
Ora ricordo che, quando avevo sette anni, me ne andavo in giro per casa con uno specchio rivolto verso l'alto immaginando un percorso accidentato pieno di scalini che non erano altro se non le cornici delle porte viste da un'altra prospettiva. Il pezzo forte era lo spazio fra i due controsoffitti del salotto, lì davvero avevo l'illusione di immergermi in una piscina vuota, ma confortevole, in cui poter essere un polpo gigante boccheggiante oppure un capitano la cui nave aveva raggiunto la riva di una terra sconosciuta.
Provateci, voi a casa, non sono un professionista!
"Tesoro, sei sveglio?"  Dice, ma non la vedo.
Respiro. Non mi ero mai reso conto di quanto questo divano odorasse di cane bagnato. Oddio, forse sono io che puzzo di cane bagnato.
"Amorcito lindo...Los pollitos dicen píopíopío cuando tienen hambre, cuando tienen frio"  dice, accarezzandomi la fronte. Continuo a guardare quello che ora è il solo cielo che posso permettermi.
Respiro. "Los pollitos..." nelle sue parole, nelle parole della donna che mi ha cresciuto, respiro l'amore che mi tiene in vita e mi fa pensare di avere nove vite come i gatti. Lo stesso amore che, nonostante il mio essere un gatto selvatico, mi permette, a volte, di accettare un po' di conforto.
Ora posso concedermi di sentirmi a casa, anche se ho sempre preferito vederla attraverso uno specchio rivolto verso l'alto.