Big Red Machine - "Big Red Machine": La Gemma Nascosta

 
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Anno: 2018

Genere: Folktronica; Art Rock

Durata: 46' 55"

Etichetta: Jagjaguwar

L’amicizia decennale che lega i nomi di Justin Vernon dei Bon Iver ed Aaron Dessner dei National trova testimonianza e origine nel recente passato. Basta riavvolgere di poco il nastro e tornare indietro al 2009, quando i due artisti statunitensi composero un brano a due menti e quattro mani, dal titolo Big Red Machine, inserito in una compilation volta a fini di beneficenza.

Da quel momento in poi il duo intraprese sottotraccia un’avventura artistica parallela ai gruppi d’appartenenza, collaborando serenamente nascosti tra le mura degli studi di registrazione, lontano dai riflettori di critica e pubblico. Il nastro riparte e si giunge allo scorso otto agosto, quando una canzone viene caricata su varie piattaforme, da Spotify a Youtube: nome dell’autore? Big Red Machine.

Così, sul finire del mese e con l’estate ormai ai saluti, il disco di Vernon e Dessner emerge fragoroso dal silenzio, senza riti pubblicitari di sorta, a grande insaputa di molti fan e addetti ai lavori. Questa “grande macchina rossa” finemente assemblata nelle sue parti, di cui il cantautorato inimitabile del leader dei Bon Iver costituisce il carburante, ambisce indirettamente a ritagliarsi il titolo di manuale di folktronica, con le sue dieci tracce a fungere da comandamenti per tutte le band che saranno.

Deep Green segna l’ingresso armonioso in uno spazio confinato dalle alte pareti di vetro, dove a filtrare e a riflettersi non è la luce, ma il suono. Felicemente intrappolati in un perimetro di specchi, i loop instancabili e i sintetizzatori veleggiano senza sosta, mentre le sferzate folk blues di chitarra, alternate ai giochi di voce in falsetto e vocoder, finiscono di prendere posto nell’ambiente circoscritto. Sospesi tra delicati suoni campionati e piccole arie orchestrali di archi e sassofoni, che riportano subito alla mente l’instant classic 22 A Million, si è bruscamente risvegliati dai profondi bassi cavernosi e dai cadenzati battiti della drum machine.

 
 

Il cantato soul rap che corre lungo il beat di Lyla e l’impalcatura gospel nell’arrangiamento di Hymnostic mostrano l’ampia ecletticità del progetto, non ristretto al solo universo dell’indie folk, ma esteso alle infinite possibilità concesse dall’elettronica. I testi amplificano la sensazione di aleatorietà, muovendo dal generale al particolare, fino a raggiungere in determinati punti un’assoluta impenetrabilità, tratto stilistico distintivo del calamo di Justin Vernon.

Il taglio sensibile e insieme fragile, cucito su misura all’intero lavoro, è diffuso e diluito scientemente fra una canzone e l’altra, toccando l’apice emozionale nelle tastiere imbevute di malinconia di People Lullaby, una delicata ninna nanna sinfonica destinata all’umanità tutta, o nelle ripetizioni attrattive della disarmante preghiera laica Gratitude.

Non può mancare poi il folk di impostazione più classica e tradizionale: a tale requisito risponde I Won’t Run From It, una ballata asciugata di ogni addobbo elettronico, per lasciare il comando all’accoppiata sempre vincente di acustica e voce.

Seguendo un approccio sperimentale aperto all’improvvisazione in studio e usando come linee guida le infinite idee forgiate nel tempo, la coppia Vernon/Dessner, d’ora in avanti Big Red Machine, esordisce con un primo disco presto oggetto di culto, che mira a fissare istruzioni e consigli per il buon prodotto art-rock contemporaneo.  

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Gradimento Autore: 7.9/10

Gradimento Amletico*: 7.8/10

Tracce Consigliate: "Deep Green"; "OMDB"; "People Lullaby"

*Media tra gradimento del pubblico, critica e autore