Cappelli come opere d’arte da Patrizia Fabri, la più antica manifattura a Roma
Mentre guardate un concerto, uno spettacolo o una cerimonia, sarà capitato anche a voi di domandarvi chi disegna quei cappelli dalle linee curiose. La risposta è in via degli Scipioni 46 a Roma. Tra i suoi lavori, Patrizia Fabri ha avuto il compito di vestire il capo di Madonna, di Lady Gaga e anche quello del cantautore romano Mannarino.
Ma il cappello è solo la parte finale, il gioiello è in fondo al negozio. E Patrizia Fabri ne è consapevole e lo intuisce subito. “Vuole vedere il laboratorio? Venga”.
Queste sono tutte le forme che usate?
Sì, ogni forma è un modello.
Le forme cambiano o sono sempre le stesse?
Cambiano. Ogni forma rappresenta un’epoca storica e un momento della moda. Ci sono anche quelle storiche per la realizzazione delle opere teatrali.
È come se ci fosse la storia della moda qui dentro.
Sì, hai ragione.
Vendete solo cappelli?
Solo cappelli. Ma le forme sono persino più importanti, perché la forma racchiude il segno geometrico che rappresenta quel momento culturale e quel determinato popolo.
Quanti dipendenti avete?
Tre.
Non tutte le botteghe ne hanno così tanti.
Qui il lavoro è molto e lungo. C’è una parte più fisica, più maschile, e una più delicata, più femminile.
Serve esperienza per un lavoro del genere?
Tanta, come tutti i lavori artigianali.
C’è un contenitore da dove un signore ha appena tolto un tessuto.
E quello a che serve?
Ti spiego. Prima il tessuto di coniglio viene messo in quella macchina lì (una specie di bollitore antico). Si chiama vapora perché produce vapore e rende elastico il feltro. Poi Sandro, con forza, lo fa aderire alla forma. E dopo averlo modellato, si mette nel forno, perché così il vapore asciuga il feltro. Sandro puoi fargli vedere, per cortesia?
Sandro apre la porta del forno. Dentro è pieno di utensili antichi.
Piacere Sandro, questo è il forno?
Sandro: Si, è un forno essiccatore dove si asciugano i cappelli. E questi sulla fiamma sono ferri in ghisa, che servono per stirare i cappelli. Vedi, sono antichissimi.
Il cappellaio Sandro a lavoro
Patrizia: Poi, il cappello passa a loro che sono le modiste. Come titolo professionale, lui è cappellaio e loro modiste. Loro rifiniscono, decorano e completano il cappello.
Qual è il cappello più costoso che vendete?
Il Panama, quello che viene intrecciato in Ecuador. Può essere lavorato in modo talmente fino da arrivare a costare fino a 5mila euro. In questo caso si paga molto il lavoro d’intreccio.
Dove comprate i tessuti per i cappelli?
D’estate sopratutto dall’estero, perché qui non intreccia più nessuno le paglie.
E d’inverno?
Molto dalla Cina e dal Portogallo, che hanno una tradizione di feltrazione.
Qui in Italia non acquistate il feltro?
Non esistono produttori, perché siamo pochissimi cappellai: c’è poca offerta.
I vostri prodotti sono di estrema qualità. La competizione con le grandi catene c’è?
No. Però siamo destinati a una cultura di nicchia sempre più ristretta. Noi siamo rivolti a chi apprezza tutto questo. Non è più neanche un discorso commerciale, ma di acquisto legato alla cultura, alla conoscenza e alla tradizione. È quasi come comprare un pezzo d’antiquariato, un oggetto d’arte. Non apparteniamo certo al consumismo.
Vi siete sempre defilati.
Certo, perché già il prezzo dei nostri prodotti esce fuori da quello che può essere il consumismo.
Fate anche visitare questo laboratorio?
Sì, facciamo visite guidate. Vengono un po’ da tutto il mondo. All’estero ci conoscono molto di più di Roma.
Davvero?
Sì, sono venuti dall’Università di Pechino, dal Kazakistan, dall’Inghilterra, dalla Francia e dall’America.
Per chi lavorate?
Teatri, alta moda e poi vendiamo a tutti.
Il cliente cosa può acquistare nel vostro negozio?
Può scegliere il cappello già pronto oppure viene con un’idea o un disegno e noi, attraverso le nostre forme, cerchiamo di renderlo. Se invece ha un disegno strano, allora dobbiamo far realizzare le forme.
Vi è capitato?
Molto di rado, perché nessuno fa l’investimento. È una scultura.
Chi le fa?
Un formaio specifico, che ha cognizione di vestibilità. Perché il cappello deve stare in testa, non è una scultura fine a se stessa.
Se le forme restano le stesse, come cambiano i cappelli?
Decorazioni, materie prime, combinazioni, perché possiamo mettere falde diverse. C’è sempre un’evoluzione.
Da quanto siete qui?
Dal 1936.
Quante generazioni?
La prima. Abbiamo rilevato l’attività nel 2003.
Quindi proseguite nella tradizione.
Esatto.
Le mura sono vostre?
No, sono del vecchio proprietario.
Che vi ha quindi ceduto l’attività.
Sì. Siamo subentrati in affitto.
E in questo periodo di difficoltà?
Cerchiamo di resistere più del solito.
Il riconoscimento come bottega storica cosa vale?
Nulla, non c’è alcuna attenzione. Né verso di noi né verso la storia.
È l’unica bottega a Roma di cappelli che lavora in questo modo?
Che porta avanti il mestiere con questa storicità e tradizione sì.