Il mistero dei resti del colosso di Nerone, la statua che ha dato il nome al Colosseo
In seguito al grande incendio di Roma del 64 d.C. l’imperatore Nerone avviò imponenti lavori di ricostruzione dettando severe regole per porre un freno alla speculazione edilizia e tracciando un nuovo impianto urbanistico della città.
Nel quadro di questi interventi fece realizzare un esteso complesso edilizio nella valle compresa tra il Palatino, le pendici del colle Oppio e parte del Celio recuperando un’area edificata andata completamente distrutta.
Tale complesso, noto come Domus Aurea, costituiva la villa urbana dell’imperatore ed era un insieme di edifici e di ampi spazi verdi che si estendeva per circa 2,5 km quadrati.
All’interno della Domus Aurea si accedeva attraverso un portico a tre ordini di colonne lungo circa 1.500 metri al centro del quale Nerone aveva fatto collocare una colossale statua di bronzo.
Il colosso, realizzato dallo scultore Zenodoro ed eretto su un piedistallo quadrato di 11 metri di lato, era alto 33,5 metri secondo Plinio il Vecchio, 36,6 metri secondo Svetonio o 31,1 metri secondo il Cronografo del 354, il calendario illustrato opera del calligrafo Furio Dionisio Filocalo.
La statua bronzea, ispirata probabilmente al Colosso di Rodi, rappresentava l’imperatore stesso come il dio Sole con il braccio destro in avanti che tiene in mano un ramo e il braccio sinistro piegato per reggere una sfera significante il globo terreste.
Sulla testa portava come copricapo una corona composta da sette raggi, lunghi ciascuno 6 metri.
L’effetto visivo della statua doveva essere stupefacente e percepibile a grande distanza considerate le sue gigantesche dimensioni e soprattutto quando il bronzo dorato risplendeva alla luce del giorno.
Se si considera poi che al posto del Colosseo vi era allora un piccolo lago in cui l’imponente monumento si specchiava, si può immaginare lo spettacolo incredibilmente suggestivo a cui si poteva assistere.
La sua raffigurazione ci è giunta attraverso una moneta coniata intorno al 64-65 d.C. che, nella faccia opposta a quella riportante il profilo di Nerone, presenta la figura del Colosso neroniano e consente di datarne con certezza la sua realizzazione in quel periodo.
Probabilmente il nome “Colosseo”, dato all’anfiteatro Flavio che sarebbe stato successivamente edificato nell’80 d.C., potrebbe derivare dal fatto che il Colosso di Nerone sorgeva nelle sue vicinanze, anche se altre ipotesi sostengono che questo soprannome derivasse dalle altrettanto enormi dimensioni dell’anfiteatro o si collegasse al vicino Colle Oppio sul quale sorgeva il tempio di Iside e per questo denominato “Collis Isei”.
Nel corso della storia il Colosso di Nerone ha più volte mutato il suo aspetto a seconda dell’imperatore che regnava e già Vespasiano che governò dal 69 al 79 d.C. dovette intervenire con un suo restauro a seguito di un incendio sviluppatosi nella Domus Aurea.
Intorno al 127 d.C., per far posto al nuovo tempio di Venere da edificare nel sito dove era collocato il Colosso, Adriano incaricò l’architetto Decrianus dell'impresa di spostarlo accanto al Colosseo.
Decriano impiegò ventiquattro elefanti per trasportarlo mantenendolo in posizione eretta e si occupò anche, su richiesta dell’imperatore, di cancellare i tratti del viso di Nerone sostituendoli con quelli del committente.
Al riguardo una incisione grafica illustra la diversa posizione del Colosso inserito nel nuovo contesto.
Successivamente l'Imperatore Commodo, che regnò dal 180 al 192 d.C., trasformò il colosso in una statua di sé stesso nelle vesti di Ercole sostituendo la testa originaria, ma dopo la sua morte il colosso fu restaurato all'aspetto precedente.
Da ultimo, fu Costantino che governò dal 306 al 337 d.C. a dare i propri lineamenti al Colosso che li conservò fino almeno agli inizi dell’alto medioevo (476-1000 d.C.) quando, secondo un’ipotesi, il papa Gregorio Magno la fece fondere perché considerata un simbolo pagano o, secondo un’altra ipotesi, un terremoto che colpì la capitale nel V secolo ne determinò il crollo.
Un’altra ipotesi vuole invece che sia stato Papa Silvestro nell’ XI secolo a fondere la statua conservandone però alcune parti. E che i resti della grande statua in bronzo di Costantino non siano andati perduti, ma siano oggi presenti e visibili ai Musei Capitolini.
Si tratta di una testa di quasi due metri, di un globo e di una mano di un metro e mezzo che, date le loro dimensioni, dovrebbero credibilmente essere appartenute al Colosso.
Nulla rimane invece del Colosso nel luogo in cui si trovava dopo la demolizione del basamento su cui poggiava eseguita durante il fascismo, tranne l’area delimitata su cui insisteva dove è stata apposta una lastra marmorea a ricordo.