David Bowie – "★"

 
 

Anno: 2016

Genere: Art Rock, Fusion, Rock Sperimentale, Jazz

Durata: 40' 49"

Etichetta: ISO/Columbia Records

“Lui ha sempre fatto quello che voleva fare. L’ha voluto fare alla sua maniera e l’ha voluto fare al meglio. La sua morte non è stata differente dalla sua vita: un’opera d’arte. Ha creato Blackstar per noi, il suo regalo d’addio… Io lo sapevo già da un anno, che è così che sarebbe accaduto. Non ero, tuttavia, ancora preparato per questo. Lui era un uomo straordinario, pieno d’amore e di vita. Resterà per sempre con noi. Per adesso, la cosa da fare è piangere.” Il collaboratore di una vita di David Bowie, Tony Visconti, così scrisse in un toccante post su Facebook riguardo alla morte del suo formidabile amico e collega il 10 Gennaio 2016. Un'amicizia nata nello studio di registrazione di "Space Oddity" e proseguita fino all'ultimo giorno.

David Bowie ha voluto stupire e shockare anche nella morte, andandosene nei tempi e nei modi scelti da lui, lasciando due spettacolari testamenti artistici e umani: il suo ultimo lavoro in studio “Blackstar” (stilizzato come ★, uscito il giorno del suo 69esimo compleanno, due giorni prima della sua morte) e il musical Lazarus.

Blackstar è il suo atto finale, basato sull’eterno conflitto tra l’uomo e la morte e sull’accettazione che, prima o poi, si deve dire addio a questa vita.

Solo dopo la sua scomparsa, si è potuto apprezzare l’album nella sua interezza; tanti riferimenti, passi e frasi che prima apparivano oscure ed enigmatiche, come da tradizione Bowiana, divennero improvvisamente chiari e geniali: tutti i pezzi del puzzle si incastrarono perfettamente, dando vita alla sua ultima opera d’arte.
 
L’album si apre con la traccia “★” (Blackstar) che dà il titolo all’album: una suite musicale di circa dieci minuti che unisce, fondendoli perfettamente, tre movimenti musicali distinti.
Il primo movimento è caratterizzato da un tono lamentoso, disperato e trascinato, Bowie fa riferimento alla “Villa Of Ormen” probabilmente è “Village Of Torment”, ovvero “il villaggio della disperazione” che Bowie pronuncia appositamente male come farebbe un moribondo sul letto di morte. Il villaggio della disperazione non è altro che la Terra, il luogo in cui si nasce e purtroppo si muore, e in questa prima parte ciò non viene accettato.
Il secondo movimento è più sereno e cristallino, in cui sembra che per un istante David riesca a prendersi gioco della morte, imbrogliandola e rallentandola (combatté coraggiosamente 18 mesi contro il cancro al Pancreas, probabilmente questo secondo movimento si riferisce a questo periodo della vita).
Il singolo si chiude con una parte finale che richiama il tono lamentoso inziale, ma meno frenetico, come se fosse subentrata un’accettazione passiva della morte.
Il singolo è dominato da un’atmosfera spettrale e apocalittica, energizzata da un jazz sperimentale, del tutto nuovo nel mondo Bowiano: infatti, sebbene alla co-produzione ci sia ancora una volta lo storico collaboratore e amico Tony Visconti, ad accompagnarci durante l’ascolto di “Blackstar” ci sono le potenti melodie di un gruppo di musicisti jazz d’avanguardia guidati dal talentuoso sassofonista californiano Donny McCaslin.

 

L’ascolto prosegue con “'Tis a Pity She Was a Whore” ("Peccato che lei fosse una puttana”), in cui l’artista continua a fare riferimenti alla morte (è la “whore” del brano) e probabilmente anche all’attacco cardiaco che subì nel 2004 durante il Reality Tour. Nel testo, infatti, definisce l’attacco di cuore un semplice “pugno” che lo ha messo momentaneamente al tappeto, mentre definisce il cancro “la vera guerra”, nulla a confronto con tutto quello che aveva finora passato.

Si procede poi con Lazarus, probabilmente il brano più personale e intimo di tutta la sua carriera: David confessa di essere rassegnato alla morte imminente, di non avere più nulla da perdere e di essere così sballato e fuori di sé da essere in uno stato del tutto confusionale (probabilmente per effetto dei sedativi che era costretto a prendere per il dolore).
Il pezzo inizia con il basso e uno stile gotico, trasformandosi in una pop-song.


Si arriva poi a “Sue (Or in a Season of Crime)”, murder song aggressiva composta dai classici elementi (un uomo, una donna, un amore finito e un omicidio passionale) narrata dal punto di vista dell’assassino e a “Girl Loves Me”, che rappresenta uno stacco deciso dalle tracce precedenti: dopo una lunga sequenza di brani incentrati prevalentemente sulla morte, arriva un lavoro più leggero e bizarro in cui spicca la performance del batterista Mark Giuliana.

Siamo giunti alla fine, le due pop songs “Dollar Days” e “I Can’t Give Everything” chiudono questo ultimo magistrale lavoro, e l’atmosfera cambia radicalmente.
Il dolore straziante, la tensione e l’incredulità ora convergono tutti in una pacata rassegnazione.
Entrambi i pezzi sono struggenti, sono il connubio finale che ci accompagna alla fine del disco.. e di tutto.

“I Can’t Give Everything” (non posso rivelare tutto), ripetuto numerose volte da Bowie nell’ultimo singolo, è anche la sua frase finale di conclusione del disco: è come se volesse far capire una volta per tutte che, anche nel momento dell’addio, lui resterà sempre in parte inaccessibile e alcuni suoi testi non saranno mai del tutto pienamente compresi.
D’altronde proprio lui affermò nel 2002 durante un’intervista a “Livewire”: “Mi sono dovuto rassegnare, molti anni fa, al fatto che non sono troppo chiaro quando mi devo esprimere a parole. Lo faccio con la musica. È lì, negli accordi e nelle melodie, che c’è tutto quello che ho da dire”.

È la fine di un mito. Ma l'inizio della leggenda.

 

Media Critica e Pubblico*: 7.75/10

Gradimento: 9.1/10

Tracce Consigliate: "Lazarus"; ""; "I Can’t Give Everything"

*v. fonti in calce

 
 

altre recensioni

Rolling Stone (3/5)
Rockol (4.5/5)
Ondarock (7.5/10)
Metallized (8.5/10)