Il ritratto inquietante di Velazquez

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Luogo: Palazzo Doria Pamphilij

Durata della visita: 2h

Costo biglietto: 12€ intero; 8€ ridotto

Ogni volta che entro in quella stanza ho paura. Ogni volta ho il timore di sostenere quello sguardo. Varcata la soglia del gabinetto, un brivido mi pervade come una scure che mi carezza la pelle.

Il ritratto di Innocenzo X Pamphilj realizzato da Velazquez ha qualcosa di profondamente inquietante. Questo lo aveva capito bene Francis Bacon che, quasi ossessionato da questo dipinto, ne trasse ispirazione per moltissimi suoi quadri.

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“Troppo vero”. Così si espresse il pontefice stesso, che lamentava l’aderenza troppo reale con la quale il pittore spagnolo lo aveva ritratto. Giovan Battista Pamphilj conosceva già Diego Velazquez, da prima che salisse al soglio pontificio nel 1644. Nel 1629 lo spagnolo soggiornò per la prima volta a Roma, dove ebbe modo di guardare alla pittura italiana che lo influenzò fortemente, lasciando una traccia indelebile nella sua produzione. Vent’anni dopo, nel 1649, Velazquez fece nuovamente ritorno a Roma; a questo punto la fama dello spagnolo echeggiava ormai in tutta Europa, e il papa della casata Pamphilj decise di farsi ritrarre da questo grande maestro. La leggenda vuole che il pontefice abbia posato una sola volta per il pittore, sebbene siano stati ritrovati dei disegni realizzati in preparazione al quadro che farebbero pensare il contrario.

Il dipinto è tutto giocato sui toni rossi: la tenda di un rosso scuro granata, così come il velluto della sedia, la berretta purpurea e l’abito fra il vermiglione e il cinabro. Le pennellate sono cariche di materia pittorica, veloci, grasse. Con pochi rapidi tocchi Velazquez trasmette la matericità delle cose e la porosità dei tessuti.

La parte bianca della veste è forse la più straordinaria: un’esplosione di colore già impressionista. Grazie a pochi e rapidi tocchi di pennello si percepiscono tutte le pieghe del vestito.

Più ci si avvicina al dipinto e più questo si smaterializza, perde di senso figurativo, come nei quadri di Monet e degli altri impressionisti.

Ma ciò che più affascina e al contempo respinge è il volto del papa. Lo sguardo acceso, intelligente e severo, pietrificante come la Medusa. L’incarnato quasi rubensiano, così rubicondo e pingue, è un vero tripudio di carne. Non si era di certo abituati a tanto realismo per un ritratto ufficiale del papa.

 
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Questo quadro sprigiona un odore pungente di laguna: ci sono tutti i grandi maestri veneti, Tiziano e Tintoretto con il loro ductus rapido e materico, ma anche l’introspezione psicologica dei ritratti di Lotto, che mette a nudo gli effigiati e permette alla pittura – poesia muta –  di parlare.

Un capolavoro assoluto, che merita da solo il prezzo del biglietto.