Dopo la prova al Teatro Vascello: quando l'aria si fa rarefatta per lo spettacolo della messinscena

Uno sguardo intenso, un movimento misurato, una sfumatura della voce, non sono evidenti i particolari che rendono grande un attore, ma leggeri dettagli che aumentano la gravità della scena e rendono l’aria del teatro sempre più rarefatta. Di fronte all’altitudine delle interpretazioni, il pubblico si trova senza fiato, per una rappresentazione che tocca le massime vette del teatro.

Più di 120 anni di spettacoli, prove e interpretazioni per Ugo Pagliai e Manuela Kustermann: due attori che hanno segnato la storia del teatro italiano. In questo caso il testo con cui si misurano è “Dopo la prova” di Ingmar Bergman, vero e proprio testamento del regista svedese, in cui emergono con forza tutto il suo amore e il dolore provato per il mondo della finzione.

Un kammerspiel che si sviluppa sul palcoscenico di un teatro, dove – in un tempo sospeso tra sogno e realtà – l’anziano regista Henrik Vogler (Ugo Pagliai) riflette con la giovane attrice Anna (Arianna Di Stefano) sulle difficoltà del mestiere, l’inquietudine dell’essere e l’inesorabilità del tempo. Tra una carezza, uno sguardo e un complimento, emerge una profonda sintonia tra i due, la stessa che vi dovrà essere nello spettacolo che stanno per mettere in scena, Il sogno di Strindberg, in cui Anna reciterà una parte di primo piano, la stessa che aveva ricoperto sua madre Rakel (Manuela Kustermann) tempo prima. L’affascinante attrice è venuta a mancare da cinque anni, uccisa dall’alcolismo in cui si era rifugiata per annegare il dolore della relazione che aveva avuto con Vogler.

Si intrecciano dunque amori passati e presenti, fin quando sul palco arriva la notizia di una nascita inaspettata. Ma a quel punto Vogler è lontano dalla realtà, confinato in un mondo dove anche i suoni si confondono: “Ciò che più mi preoccupa in questo momento è che non ho potuto sentire le campane della chiesa”.

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Simbolo della vita di Bergman, l’opera descrive il suo rapporto con la scena. Il regista aveva avuto ben cinque mogli, quasi tutte attrici o prime donne, pronte a sacrificarsi sull’altare del palcoscenico. Lo svedese scrisse il testo nella fase crepuscolare della carriera, per questo il teatro Vascello è ricoperto da un tappeto di foglie autunnali, che non rappresentano il tempo in cui si svolge l’azione, ma la stagione della vita.

Uno spettacolo complesso, semplificato da una scenografia emozionante, che attraverso un gioco di trasparenze rende l’atmosfera ancor più tesa. Fantasmi del passato appaiano e scompaiono dietro le quinte di una scena che è sempre la stessa, eppure sembra costantemente mutare tramite un gioco di luci che svela nuove parti nascoste del palco. A dividere il pubblico dagli attori un sottile velo, che rende tutto più etereo e confonde la vista. Ma la grandezza della messinscena si riesce sempre a vedere.

“Dopo le prove mi trattengo volentieri sul palcoscenico. Mi serve per riflettere in pace e con calma sul lavoro della giornata. È nell’ora del crepuscolo che piomba il silenzio sul grande teatro”.