Il dipinto che segnò la rottura con l'eurocentrismo nell’arte brasiliana
Abaporu (1928) di Tarsila do Amaral non è solo uno dei più iconici dipinti dell’arte moderna brasiliana. È piuttosto la scintilla che ha fatto innescare la ribellione dell’arte brasiliana nei confronti dell’eurocentrismo che dominò l’America dopo Colombo.
Nel 1995 il collezionista argentino Eduardo Constantini l’ha aggiudicato per ben 1,3 milioni di dollari – rendendo Abaporu il dipinto brasiliano più valoroso finora –, per in seguito donarlo al Museo de Arte Latinoamericano de Buenos Aires. È lo stesso dilemma che gli italiani provano nel capacitarsi che la Gioconda si trova al Louvre… Beh, ma questo è un tutto un altro discorso.
Contro tutte le catechesi
Abaporu è un termine tupi, la lingua “madre” del Brasile prima del Descobrimento nel 1500. Significa antropofagia. Tarsila non avrebbe mai pensato che nel regalare Abaporu al suo compagno, il grande poeta modernista Oswald de Andrade, la tela avrebbe avuto un immenso impatto su di lui e sarebbe stata la musa ispiratrice per la stesura del famigerato Manifesto Antropofago.
“Senza di noi l’Europa non avrebbe neanche la sua povera dichiarazione dei diritti dell’uomo… Non siamo mai stati catechizzati. Viviamo attraverso un diritto sonnambulo. Abbiamo fatto Cristo nascere a Bahia. O a Belém do Pará… Non siamo mai stati catechizzati. Abbiamo invece fatto il Carnevale. L’indigeno mascherato da senatore dell’Impero. Prima che i portoghesi scoprissero il Brasile, il Brasile aveva già scoperto la felicità”.
Identità del popolo
L’Abaporu che nelle parole di de Andrade cannibalizza carnalmente e altrettanto metaforicamente, diviene portavoce delle angustie e indignazioni di un Brasile che quasi 100 anni fa cercava ancora l’indipendenza, nonostante fosse già una Repubblica. Ne cercava soprattutto nell’arte e lui voleva che l’inculturazione europea fosse letteralmente mangiata e trasformata in qualcosa genuina.
De Andrade sapeva che il Matriarcato di Pindorama era il vero Paradiso. Perduto, ormai. Caduto. Venduto. Pindorama è anche una parola tupi per dire “terra delle palme”. Fu in questo panorama edenico che sbarcarono i fetidi, perfidi e depravati portoghesi, con le loro croci, armi da fuoco e specchi, avidi di ricchezze, violenza e potere. Peccato non furono tutti cannibalizzati.
Ahimè, gli innocenti cannibali nudi dai divini corpi immaculati sono stati ammazzati prima. E con la loro uccisione si spegnevano anche dimensioni fondamentali della cultura tribale, come la vita comunitaria e il profondo legame degli indigeni con la Natura.
Creatura autoctone
La storia racconta che nel vedere Abaporu per la prima volta, de Andrade abbia esclamato: “Questo sembra un antropofago. Un uomo della terra”.
Quasi come una visione mistica, l’Abaporu gli “rievoca l’essere-natura di questa terra immemoriale, irrimediabilmente corrotta per la logica civilizzatrice. È una creatura autoctone, mitica per eccellenza, nativa di un Brasile altrettanto primitivo e magico”, sottolinea la curatrice della Pinacoteca di São Paulo, Regina Teixeira de Barros.
Fase Antropofagica
Tarsila ebbe una fase detta antropofagica (1923-1928) che iniziò cinque anni prima di Abaporu con A Negra, caratterizzata dalla “disarticolazione della forma costruttiva, attraverso una sommersione nella materialità culturale brasiliana”.
Il fatto è che Tarsila, forse anche lei estenuata dagli studi europei, si era emancipata dei dogma del vecchio continente e già dipingeva molto prima quello che de Andrade voleva proclamare con le sue parole: l’originalità e la sacralità della cultura brasiliana (o meglio, tupi).