LA STORIA DI IVO - Mimosa - Parte terza

Ritroviamo Ivo alle prese con l’amore. Il suo primo amore, che però – vedremo – si proietta verso il futuro con il suo inevitabile carico di forza e di fragilità, Niente di straordinario, eppure qualcosa che vale la pena raccontare.


Quindici anni Ivo, Mimosa appena quattordici. Una storia semplice come ne accadono tante ogni giorno in ogni angolo del mondo. Non si erano conosciuti a scuola o a una festa o attraverso qualcuno. La loro storia se l’erano ritrovata tra le mani per caso, ché sarebbe bastato un minuto in più o in meno e non si sarebbero mai incontrati. In strada, nel modo più banale che un autore di storie del genere potrebbe mai suggerire.

“Come ti chiami?” “ma che vuoi? chi ti conosce!” “non ti ho mica morso” “ma lasciami in pace”. Poi un pezzo di strada insieme. “Abito qui vicino, ti saluto, sono quasi arrivata“ “perché non ci rivediamo?” “ma ti ho detto, lasciami stare“. Un altro pezzo di strada, con lui a insistere e insistere.  “Domani se vuoi ti aspetto qui”. Con lei che alla fine sorride. “Certo, sei proprio testardo, e va bene, domani mattina, tu vieni ma io non posso garantirti che ci sarò” “ma se dici così allora non vengo” “uffa! fa come vuoi” “no, vengo, vengo, a che ora?” “facciamo alle nove” “alle nove?” “ho detto alle nove, ma che sei sordo?” “va bene, va bene, alle nove, scusa ma come ti chiami?” “mi chiamo Mimosa” “allora ciao, a domani io mi chiamo Ivo “ “ciao” “ciao Mimosa”.

In genere, di cose così ne iniziano tante e tante finiscono subito e anche l’incontro tra Ivo e Mimosa poteva essere una di queste. E invece i fatti andarono diversamente. La prima differenza fu che tra loro due la parola tracimò subito come un fiume in piena, una massa sterminata di racconti di sé, da una parte e dall’altra mettendo in campo un passato quasi inesistente.  Anche se il loro piccolissimo passato appariva immenso così tante erano le immagini che lo descrivevano pur trattandosi soltanto di una vacanza al mare, di una gita scolastica, di momenti di vita in famiglia e poco altro. Quel passato appariva immenso perché dilagava attraverso entusiasmi, ammiccamenti, risate che non avevano motivo, piccole semplici storie, buffe smorfie che ne accompagnavano generosamente il racconto.

Se il loro passato quasi non esisteva, il loro futuro no, quello era veramente enorme. C’erano tanti anni da immaginare che ci si sarebbe potuto riempire uno di quei romanzi che sembrano non debbano mai concludersi, come non c’era un vero punto di arrivo che ponesse un limite alla loro immaginazione. Un futuro senza ambizioni, niente successi o gloriose vicende ma soltanto vita, moltissima vita che Ivo e Mimosa anticipavano senza ritegno, tanto erano famelici di fronte a quella tavola così splendidamente apparecchiata per loro.

Lasciavano in penombra il loro corpo mentre sarebbe stata naturale una sua irruzione nell’incontro tra le loro due anime così avide di tattilità da non potersi esprimere appieno se non con l’ausilio di un gesto, di un contatto, di un abbraccio, di un bacio che aprisse la via a qualcosa di più.

Avevano pochissimo da mettere in campo ma quel poco da dire e da dare di sé   che avevano in serbo lo dicevano e lo davano come se si fosse trattato del frutto di una vita centenaria. Ma allegramente, come un vero centenario non sarebbe mai stato capace di fare anche se avesse avuto alle spalle le più inimmaginabili vicende da raccontare. Ivo e Mimosa ridevano, ridevano tanto piegandosi a volte con le lacrime agli occhi e mangiandosi le parole senza più riuscire a farsi capire mentre invece si capivano benissimo perché quelle parole erano un copione antichissimo di cui aveva fatto loro dono la giovinezza.

Ivo e Mimosa affidavano questo loro immenso patrimonio di allegria alle strade del quartiere che percorrevano su e giù in continuazione, ore e ore, giorni e giorni, guardandosi in continuazione negli occhi, così tanto che la sera, tornati a casa, non riuscivano a liberarsi del sorriso che aveva fino ad allora accompagnato i loro sguardi.

Peccato che quella che vivevano non fosse una nuova storia ma soltanto un’antichissima rappresentazione di cui loro erano gli occasionali interpreti. Perché se e quando quella rappresentazione si fosse trasformata in una storia vera, semplice, umana, imbevuta di presente, tutto sarebbe purtroppo cambiato. Sarebbero incappati in un attimo di silenzio in più, in una frase già detta e ridetta, in tante reiterazioni di un sentimento avviato senza rimedio verso la consuetudine, fino al giorno che si sarebbero affidati a un pretesto per ricominciare altrove il loro magnifico gioco.

L’attesa conclusione di una bella storia. Il normale approdo di tutte le cose belle che non riescono più a stupire.  Ivo e Mimosa, incontrandosi, si erano stupiti, erano usciti dalla normalità delle loro emozioni per entrare in un’emozione più grande fino ad allora sconosciuta, erano stati trasportati da un’onda che però, come tutte le onde, finisce per dissolversi quando raggiunge la riva del mare.

°   °   °

Molti anni dopo - venti o giù di lì - Ivo la vide sul fondo di un affollato tram. Anche Mimosa lo vide e il sorriso che gli inviò da lontano era lo stesso con cui lo accoglieva a ogni loro incontro. Ivo notò che aveva tagliato i capelli. Poteva accorgersi di molti suoi cambiamenti dopo così tanti anni ma ciò che pensò in quel momento fu soltanto che quei bei capelli di allora, lunghi, lisci, sempre in movimento non c’erano più e che quelli di ora rimanevano ben sistemati e immobili. In ordine.

Poche parole, molti sorrisi e molti sguardi a cogliere una differenza e a nascondere un’emozione. Ivo avrebbe voluto chiederle tante cose, una soprattutto, con chi stava e se era felice, ma quelli erano discorsi da non fare, troppo scontati forse anche patetici, ed era impensabile anche chiederle soltanto cose inutili come “cosa fai, dove abiti?”. Desiderava che lei gli ripetesse una frase, un semplice gesto di allora, ma questa era soltanto una fantasia che non aveva senso.

Accadde però che Mimosa con un leggero gesto della mano gli tolse dalla spalla qualcosa, magari un po’ di forfora, un piccolissimo gesto di possesso accompagnato da un sorriso che per un attimo ripeté la tenerezza di un tempo. Poi “sono arrivata, scendo qui, sono stata felice di vederti, spero di incontrarti ancora, però questo tram io non lo prendo quasi mai”. “Anche a me ha fatto un piacere enorme, sei bella come allora.” “Ma dai, che dici. Devo scendere. Hai i capelli per aria, te li sistemo io, ecco, ora sei a posto, ma non andare in giro così in disordine, mi raccomando.”

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