Magnum Manifesto: la frizzante storia dell’agenzia che ha cambiato l’approccio alla fotografia
Durata della visita: 2h
Periodo: dal 7 Febbraio al 3 Giugno 2018
Costo biglietto: 11€ intero; 9€ ridotto
Primavera 1947, New York, Manhattan, distretto di Greenwich Village. Nell’appartamento dei coniugi Vandivert si respira un’aria frizzante, leggera, di festa. Bottiglie di champagne ovunque, giornalisti e fotografi brindano, si abbracciano e gioiscono. Capa, Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour e William Vandivert hanno appena dato vita ad una cooperativa di fotografi; una scelta rivoluzionaria per quell’epoca, in cui erano le grandi riviste a dettare legge. Spesso impegnati sul fronte a immortalare scene atroci di guerra, il nettare di Dioniso gli permette di sciogliere la tensione, di annebbiare il ricordo delle immagini efferate catturate dai loro occhi e dalle loro macchine fotografiche.
Seppur le idee dei celebri fotografi siano chiare, manca ancora un nome a quella cooperativa. Le bottiglie di champagne sono state svuotate quasi tutte, ne è rimasta solo una, la più grande. È la bottiglia Magnum.
Eccolo allora il nome per un’agenzia dalle ambizioni smisurate, come le dimensioni della bottiglia di champagne, in grado di accogliere una moltitudine di fotografi e dissetare la crescente richiesta di immagini. Nessun limite, nessuna barriera: la Magnum è globale, non conosce confini.
Dopo 70 anni dalla sua nascita, si può facilmente notare come questo obiettivo sia stato ampiamente raggiunto. Stati Uniti, India, Cina, Italia, Taiwan sono solo alcune delle nazioni rappresentate dall’agenzia fotografica più conosciuta al mondo, la quale è riuscita a costruire un modello capace di attirare tutti gli aspiranti fotografi. L’architettura dell’agenzia poggia su solide fondamenta e su di una struttura ben organizzata: i nuovi fotografi entrano dapprima in nominee, dopodiché – una volta affermatisi – diventano contributor, e, per finire, arriva il momento dell’estate, ovvero la loro eredità, i loro archivi vengono lasciati all’agenzia che continua a mostrarli nelle diverse esposizioni. Dunque un percorso che segue tutta la vita del fotografo, che salvaguarda i suoi diritti e lo pone in risalto.
Non è tuttavia stato sempre così. Prima del 1947 i fotografi erano per lo più impiegati presso le riviste, le quali fornivano i rullini per scattare le fotografie sui servizi loro assegnati, per poi riprenderseli una volta completati. Non rimaneva nulla al fotografo, se non il compenso per il lavoro svolto. Le sue foto non appartenevano più a lui: una volta consegnato, il rullino poteva essere oggetto di manipolazione dalla redazione, in relazione alle esigenze inerenti alla pubblicazione. Ed è questo il motivo che ha spinto quel gruppo di fotografi a dare origine alla cooperativa nata nella Grande Mela: mantenere il controllo sulle proprie foto e non essere in balia della volontà altrui.
La mostra curata da Clément Chéroux sottolinea efficacemente tale aspetto, ripercorrendo le diverse fasi attraversate dall’agenzia, dalla nascita sino alle vicende più recenti. L’esposizione si prefigge di mostrare al visitatore non solo le fotografie che hanno reso famosa l’agenzia, bensì di guidarlo attraverso il percorso seguito dai membri della stessa fino al giorno d’oggi, accostando alle immagini le pagine dei giornali sui quali sono state pubblicate. Si troveranno perciò diverse didascalie ove è possibile ricostruire le tappe della Magnum Photos, dalla lettera di Rita Vandivert indirizzata a Robert Capa, in cui vengono esternati i motivi alla base del nuovo progetto, ai dubbi di Erwitt – “Perché facciamo parte di Magnum?” – manifestati nel 1961 agli altri membri, fino al recente dibattito tra Parr e Marlow sull’opposizione tra arte e giornalismo.
Se la produzione scritta è sicuramente un aspetto chiave di Magnum Manifesto, non mancano di certo le fotografie. Suddivise in tre sezioni, corrispondenti a differenti periodi storici, nella prima parte (che va dal 1947 al 1968) si ha modo di ammirare l’approccio universale dei fotografi a tale congiuntura storica, durante la quale prevale uno spirito di uguaglianza e libertà, delineato con limpidezza nella “nuvola” centrale di fotografie (che contraddistingue ogni sezione) in cui immagini e articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – adottata proprio nel 1948 – sono messi in correlazione.
Nella seconda sezione si ha invece un ribaltamento di prospettiva, è il periodo che va dal 1969 al 1989, il momento in cui la Guerra Fredda congela i rapporti tra le nazioni ed emergono le diversità, racchiuse nelle fotografie che ritraggono immigrati, esiliati, prostitute, dissidenti e altri emarginati.
La terza ed ultima parte arriva infine sino ai giorni nostri, descrivendo come fine di un’epoca il periodo che va dal 1990 al 2017. “Se il modernismo osservava tutto attraverso il prisma della novità, il postmodernismo sembra incapace di concepire qualsiasi cosa senza che ne sia stata prima decretata la fine”. In questa visione apocalittica si innestano le fotografie dell’attentato terroristico a Nizza, le immagini che raffigurano il decadimento della città di Rochester (una volta polo fondamentale per la fotografia, poiché sede della Kodak) ed i ritratti dei giovani di Kandahar, città in cui non è possibile avere immagini della propria persona, la legge divina e statale non lo consentono: laddove inizia la propria esistenza corporea, finisce la possibilità di riprodurla.
In queste tre nuvole variopinte di fotografie, lo sguardo si perde, si confonde, rapito dalla brillantezza dei colori, dalla drammaticità delle azioni. In questo cielo con nuvole a grappolo, le foto rischiarano il paesaggio di scene rapite dall'obiettivo, conferendogli una luce commovente. In questo luogo etereo, in questa mostra dove tutto infine sembra destinato a svanire, anche la stessa proprietà delle foto rischia di non trovare più tutela nel mondo attuale del digitale.
Se quindi la Magnum è stata la prima agenzia a consentire ai fotografi di gestire le loro immagini e proteggere i loro diritti, oggi allora chi tutelerà gli autori nell’oceano sconfinato della rete, dove ogni foto rischia di perdere il proprietario?
*Note: mentre le fotografie presenti sulle pubblicazioni e sulle nuvole sono facilmente apprezzabili, le altre sono coperte da vetri che non consentono di guardarle senza la presenza di un fastidioso riflesso.
Le informazioni riguardanti le fotografie (come la macchina con cui sono state scattate, i tempi, etc.) non sono purtroppo presenti, avrebbero però consentito allo visitatore più esigente un'esperienza completa.