Maradona, napoletano vero e paraculo tagliente: “Era n’ata cosa!”
Giù al porto, ai primi chiarori dell’alba, i cargo da Hong Kong erano già nitidi all’orizzonte incoronato dal Golfo. Nei container, biancheria domestica fatta a mano con gli orli intarsiati da sapienti polpastrelli orientali: donne e bambini ammucchiati in stabilimenti persi tra le risaie piene di serpenti.
La merce rubata all’attracco era praticamente una tassa da pagare. Gli stock di lenzuola per la casa venivano trasportati e depositati nei giganteschi capannoni del CIS di Nola, all’epoca, la Silicon Valley dell’import-export made in sud. Una creazione di Gianni Punzo, già vice presidente del Napoli di Ferlaino, tra le altre cose accertate in sede giudiziaria. Ne aveva fatta di strada da quando vendeva pezzi di stoffa a Piazza Mercato, ma nel dopoguerra i banconi ai piedi di Santa Croce e Purgatorio erano ricchissime fucine di talenti del commercio tessile.
Da quelle parti scorrazzavano Gianni Cacace e Dino Celentano, l’uomo che, al fianco del leggendario Antonio Juliano, avrebbe vinto il braccio di ferro con il Presidente blaugrana Gaspart nell’assurda, kafkiana via crucis verso Maradona in azzurro, che qualcuno ha avuto il coraggio di chiamare “trattativa di calciomercato”.
Dall’altro lato della strada, Pasquale De Carlo, mio nonno, alle prese coi clienti in cerca di sconti. Dopo il rilancio del boom economico, i ragazzi di piazza Mercato presero ognuno il proprio cammino, ma vollero conservare un momento di purezza condivisa. “Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni”, cantava Gordie in “Stand by Me”. Ognuno per la sua, si diceva, ma la domenica in tribuna i posti a sedere erano sempre quelli.
Si ritornava bambini in preda alla meraviglia suscitata dalla manifestazione del Genio. “Tutti testimoni”, direbbe Flavio Tranquillo. Un concetto che mio nonno voleva trasmettermi con il più classico dei “ Maradona era n’ata cosa!” e allora giù con le sessioni di VHS in stile cura Ludovico. Da “Mi sueños son dos. El primero es jugar el mundial y el segundo es salir campeón” fino all’infermiera che lo porta via per mano ad USA ’94.
In mezzo, assieme a tutto ciò che già avrete visto su Youtube, ci sono dei dettagli che ho messo nel cassetto della memoria. A partire dall’amore dei compagni che lo adoravano incondizionatamente e spesso lo invocavano: “ Diegooooooooo!”. Come se Maradona fosse un simbolo di redenzione in un momento di liberazione.
Da Ciro Ferrara, che non ci crede manco lui che ha segnato in una finale di Coppa Uefa, a Claudio Caniggia, che a braccia aperte gli chiede un assist, passando per Careca, che si inginocchia davanti al Diez dopo il terzo gol allo Stoccarda. Dopotutto, erano anche loro testimoni stupefatti, condizione di fronte alla quale i ruoli si liquefacevano.
Per questo motivo il famoso “ GENIO! GENIO! TA-TA-TA-TA GOOOOOOL” di un professionista della comunicazione come Victor Hugo Moralez è perfettamente sovrapponibile nelle intenzioni al “VATTENN INT A PORT SUL TUUUU!! SUL TUU!!” di un anonimo tifoso durante una partita di beneficenza in un campo di fango ad Acerra.
Ma l’icona di Maradona è tutta nell’espressione sofferente dipinta sul volto, dopo che l’ennesima entrata ad altezza anca aveva fatto centro. Maradona a terra dolorante sembra un martire dipinto, ricorda Laocoonte che soffre tra le spire dei serpenti. Una sofferenza così tragica, autentica, napoletana. Forse nessuno è stato picchiato su un campo da calcio quanto Diego. La cattiveria dei falli che subiva era atroce, così come quelli che riusciva a evitare con la sua rapidità. Ma, se dopo un intervento duro rimaneva un piccolo margine per raggiungere il pallone, lui lo avrebbe rincorso costi quel che costi, con il busto tutto sbilanciato in avanti e le gambe che mulinano alla disperata per recuperare l’equilibrio.
“Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli” di Alfieri che si incarna nell’infantile corsa palla al piede contro il cinismo disilluso di chi vuole interromperla. Voi per cosa tifereste? Costantemente sopra le righe, cocainomane, puttaniere, discontinuo e poco professionale. Umile con gli avversari, paterno e amorevole con i compagni, dalla parte dei più deboli, sempre a difesa della dignità del suo popolo. L’esatto contrario di Jordan, proprio come Muhammad Alì.
Napoletano vero, paraculo tagliente, resterà una delle icone più forti del Novecento. Lo sportivo più romantico di sempre, il più grande calciatore della Storia. Un vero artista. Diego vivrà per sempre nella polvere che si alza dal campo di terra, ingessa le mani e azzecca il sudore. Nell’eco dei tacchetti nello spogliatoio. Vivrà in un paio di maglioni arrotolati sulla sabbia, nel fragore dei vetri in mille pezzi, nel tonfo delle carrozzerie ammaccate, nei “vieni su che è tardi” delle madri. Diego vive nella gioia di correre dietro a un pallone. A perdifiato, per amore. Perché “la pelota no se mancha”.