Natura e tecnologia danzano nelle sculture in legno di Ferdinando Codognotto: “Curiosità è cultura"

 

Partiamo dalla fine. Perché è quando si esce dalla bottega dello scultore del legno Ferdinando Codognotto che lo si conosce davvero. Non dalle opere sparse in giro per le vie del centro e nemmeno dalle numerose apparizioni in tv con Pippo Baudo e tanti altri. Ma dalle parole di chi con lui passa intere giornate in via dei Pianellari 14, a due passi dalla chiesta di Sant'Agostino. E così il ristoratore Adriano Pica e l'architetto Valle ce lo raccontano, portandoci nello studio dove sono custodite alcune tra le opere più importanti del maestro. Dell'incontro con Elizabeth Taylor, invece, ce ne parlerà lui più tardi.

Appena entrati nella Fondazione notiamo una scultura diversa dalle altre. Perché questa è colorata?

Fa parte del periodo della rinascita, dopo che è stato male ha iniziato a dipingere le sue opere. Un signore gliene ha commissionata una e lui da lì ha continuato.

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L'avete mai visto scolpire?

Io l’ho visto mentre scolpiva il simbolo della Ferrari. Ha una velocità incredibile, una manualità. E ricava tutto da un unico blocco.

Da quanto vi conoscete?

Da tantissimo tempo. È una persona molto generosa e vuole conoscere gli altri. L'ultima volta mi ha detto di cercare il numero dell’ad dell’Eni, e così mi sono messo su internet per trovarlo. Poi, ha realizzato il simbolo.

Che tipo è il maestro?

Parla con chiunque. Renato Zero ha detto di lui che è il portinaio di Roma. Perché apre le porte a tutti, dal barbone al Capo di Stato. Vedi questa noce d'oro? È una noce vera che ha fatto dorare. Lui se le fa portare dal Veneto e quando arrivano le distribuisce a tutti.

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Notiamo una scultura di Padre Pio. È credente?

Molto. Va ogni domenica in Chiesa, a Sant’Agostino, e si fa dire la messa per la moglie. Qui c'è un ritratto in gesso di lei. L’ha fatto tanto tempo fa, aveva 17 anni, poco tempo dopo rispetto a quando si sono conosciuti.

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C'è anche il mare nella sua vita, come questi cavallucci marini.

E pensa che non è mai andato a nuotare! Ha paura dell’acqua, persino di farsi la doccia. Però è riuscito a creare quest’opera.

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Riavvolgiamo ora il nastro. Premiamo play e restiamo in silenzio. Parla il maestro.

Vengo dal Veneto, San Donà di Piave. A Roma sono arrivato nel 1963. Sono venuto qui perché mi ero incuriosito. Volevo incontrare il direttore di un giornale, Guglielmo Guastaveglia, e farmi dare dei consigli.

Quando ha imparato a lavorare il legno?

A Venezia, nelle botteghe. Ma lo lavoro da quando avevo 5-6 anni. Vi racconto meglio. Mio padre faceva il giardiniere e io mi divertivo a giocare: facevo con la creta delle piccole sculture del presepe. Poi ho iniziato con il restauro delle sculture antiche di legno, per me era diventato un mestiere. E mi ha permesso di mantenermi finché non ho trovato la mia strada, il mio modo di esprimermi. Quando uno vuole fare l’artista, deve trovare tutti i modi per proseguire. Non puoi dire: “Faccio l’impiegato e nel frattempo l’artista”. Perché finisci per far male tutte e due.

Il Gufo-robot

Il Gufo-robot

Si sente l’anima di legno?

Sono il legno, perché lo lavoro da quando sono nato.

Un legno in particolare?

Legno di cirmolo. Viene dal Trentino, val di Fiemme, da Predazzo.

Perché proprio questo?

È un legno adatto alla scultura. È duttile e forte contemporaneamente. Somiglia un po’ a me. Sono duttile, ma “te scrocchio pure” se serve.

Perché si sente duttile?

In tutto. Ma soprattutto nel rapporto umano, con le persone.

Questa scultura quando l'ha realizzata?

La scultura che tu vedi rappresenta un reattore nucleare. È stato simbolo a Torino nel 1974 per la prima rassegna mondiale natura-macchina-uomo. Environment 1974, a Torino Esposizioni. Ha rappresentato tutte le aziende italiane. Parte da sotto con l’albero, la natura, poi il fulcro è la centrale nucleare, una babele del futuro, e sopra c’è il cervello dell’uomo, che è responsabile del male. Sono 50 anni che lego la natura alla tecnologia. Per me la testa non doveva diventare una macchina. Perché se oggi uno non è attento, il telefonino e il computer ti assorbono e non esisti più.

Ci può essere però anche un contrasto tra tecnologia e natura?

Secondo me devono danzare assieme. La tecnologia deve essere al servizio della natura. Ma è difficile, perché gli uomini che muovono grandi interessi spesso non se ne preoccupano.

Com'è nato il rapporto tra tecnologia e natura?

Da piccolo ero appassionato di disegno meccanico, tecnologico. E così l’ho combinato con la natura. La curiosità è cultura.

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Quanto è difficile emergere?

Io dico: “Se uno incuriosisce, c’è chi ti racconta”. L’importante è che tu dia modo di raccontarti.

Quando è arrivato il successo?

Io sono in prima linea tuttora. È difficile mantenere una realtà del genere come una bottega. È una missione. Tanti sono bravi, ma poi non continuano. Dicono: “Ma chi me lo fa fare? Vado a lavorare, così sto tranquillo”. Qui è un’avventura, chiamala così. Chiamala incoscienza. Io mi sono sposato, ho portato avanti una famiglia con tutti i problemi del mondo. E sono stato fortunato a incontrare una donna eccezionale, mia moglie. Se non ci fosse stata lei, non ci sarei stato neanche io, anche perché avevamo un forte legame intellettuale.

Dove vi siete incontrati?

Ci siamo conosciuti al mio paese. Io avevo 13 anni, lei 15. Siamo cresciuti assieme.

Le sue scritte sono ovunque. Per la strada, qui dentro e anche in trasmissioni televisive come Propaganda Live. Ha creato un suo stile: "carattere Codognotto". Come lo realizza?

Con la sega a nastro. Prima la disegno, poi con la stessa macchina la squadro e faccio i buchi. Diventa una comunione tra le mie mani, lo strumento e la mia capoccia. Cervello-mano-macchina. Vedi la mano di 6 metri? È stata il simbolo di Biennale pubblicità-comunicazione del 75. E nel palmo della mano c’è un cervello. Sempre unione tra testa e mano.

E il cavallo?

È il cavallo del futuro, tecnologico, dei tempi nostri. 3x3 metri. Sta all’Eur.

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Invece i fiori? Perché così grandi?

Perché altrimenti la gente non se ne accorge. E così anche per gli insetti: formiche, scorpioni e ragni grandi anche 2 metri. Se tu cammini per strada, della formica neanche te ne accorgi e la schiacci. Ma se ne vedi una di 2 metri a piazza del Popolo, te la ricordi. E poi, mentre elabori la natura, impari. Per realizzare le sculture prima metto l'insetto dentro una scatoletta, così da studiarlo in tutte le parti. E solo quando mi sento formica o scorpione, allora lo faccio.

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Quanto tempo ci vuole per “sentirsi” formica?

Dipende dalla capoccia che hai. Se sei lucido, anche poco, se sei rimbambito, anche 40 anni. Ma può anche non avvenire mai.

Com’è cambiata qui la via?

Un tempo c’era tutta gente semplice, popolare. Adesso invece c’è tanta gente con la puzza sotto al naso. Sembrano tutti principi e principesse. Una volta c’era più umanità. E poi si poteva lavorare. Partivo alle 6 di mattina e stavo fino all’una. E poi continuavo anche su strada, non ti diceva niente nessuno. Ora non si può più. Certo, ci vuole pure ordine, altrimenti ognuno fa come gli pare. Io ho voluto la bottega su strada per creare una comunione

Quanto le ha dato Roma?

Tutto, perché io sono innamorato di Roma. Perché è una città che si fa gli affari suoi. A Roma, se non ti fai conoscere, muori, perché nessuno ti segue. Io vengo dal Veneto e lì è diverso. E poi c’è la nebbia, che a me non piace. Mi piace il clima di questa città.

Quali sono i suoi modelli nella scultura?

Negli anni Settanta facevo figure, ritratti, e ho avuto la fortuna di incontrare Pericle Fazzini, che poi ha fatto la scultura alla Sala Nervi. Uno dei più grandi scultori italiani, che ho frequentato parecchio. Ho conosciuto anche Giacomo Manzù, Emilio Greco. Più che leggere i libri, cercavo di conoscerli.

Come vediamo dalle foto, ha incontrato anche tanti volti noti del cinema, dello spettacolo e non solo.

L’opera è fantastica, mi disse un giornalista. Però se ci fosse una foto con un attore o un altro volto noto sarebbe meglio per vendere. All’epoca ho cominciato a frequentare Ugo Tognazzi, facevo le mostre a casa sua. Così usciva l’articolo.

Per raggiungere più pubblico.

Certo. Altrimenti come fai? Poi ho conosciuto anche tanti altri. Anthony Quinn veniva a giocare a casa mia con il legno. Personaggio enorme. Dipingeva, suonava, cantava. E poi ho conosciuto anche Elizabeth Taylor, siamo andati a cena insieme.

Lei parla inglese?

No.

E come comunicava?

Con l'arte. C'era un traduttore, ma io disegnavo per loro. L'arte è un linguaggio universale.

Con Morricone come vi siete conosciuti?

Con lui ero molto amico. Ho sofferto molto quando è mancato. L’amicizia è nata perché l’ho cercato. Ho chiesto di lui, sono andato a trovarlo e gli ho portato un dono. Era un tipo molto schivo. Anche io lo sono. Sono del segno dell’ariete.

Mentre con Pippo Baudo siamo amici da 50 anni. Sono stato ospite suo al programma Domenica In, Fantastico.

Ha anche incontrato Madre Teresa di Calcutta, per cui ha fatto un premio.

Donna speciale. Avevamo fatto una scultura per la fame del mondo e gliela dovevamo consegnare. C’erano tutti ministri e lei è arrivata scalza. E tutti questi ministri, quando lei è arrivata, sembravano non valere niente.

Ho realizzato anche diversi premi per altre persone note. L’angelo che vedete è stato dato anche a Robert De Niro. Quando c’era Mino D’Amato in televisione facevo delle arche per il programma la Ricerca dell’arca, che la Rai donava agli ospiti. L’hanno avuta Robert Redford, Carlo d’Inghilterra e tanti altri.

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Oggi viviamo l’epoca della velocità e superficialità, è tutto mordi e fuggi. E i tempi si impoveriscono. Se invece diamo importanza al tempo, costruiamo anche legami migliori. Certo, con chi riteniamo opportuno che ci possa essere uno scambio.

E può avvenire con chiunque. Qui c’è un pecoraro che mi viene a trovare sempre ‘mbriaco. Ti comincia a raccontare delle pecore, della caciotta. Ma non è detto che la persona semplice non sia profonda. Ci sono ingegneri che vengono qua e hanno studiato tanto, ma poi ci si può parlare poco.

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Cosa rappresenta il simbolo rosso che ha sulla giacca?

È un sole.

E gli altri che ha sul collo?

Sono talismani. Il sole per l’attenzione. Se lo sei verso gli altri allora lo sei anche per te stesso. Poi c'è questa che è una mia scultura: sono due amanti, un abbraccio. Quest'altra è una croce di mia intuizione. Mia moglie, che era molto di fede, mi ha detto di farne una. L'anello invece è particolare: ha un occhio, quindi l’attenzione, però devi “stare in campana”, perché dietro c’è un pungiglione.

Come si sente qui dentro?

Io qua disegno, penso, faccio parte di questo luogo. Faccio anche delle vignette umoristiche. E per il coronavirus ho fatto questa.

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Possiamo scattarle una foto?

Certo.

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Ha proprio lo sguardo da artista!

Ho rischiato di fare l’attore. Il mio viso è una maschera.