Olga Maletta è arte multiforme: un'intervista.
Olga Maletta è una giovane artista romana, non solo poetessa, ma anche musicista di talento: la persona cui più si confà il verso di "Nutshell" degli Alice in chains "If I can't be my own, I'd feel better dead". Un'arte, quella di Olga, in cui ad uno spiccato talento si unisce la naturale capacità di trasportare il lettore in un mondo fatto di poesia e prosa mescolate fra loro, allo scopo di esprimere emozioni potenti e profondi vissuti personali.
Olga è empatia e tempra d'acciaio: scopritela in questa intervista.
Quando hai iniziato a capire che la poesia sarebbe stata la modalità con cui esprimere le tue sensazioni?
Sono sempre stata ipersensibile di natura e sin da bambina amavo andare oltre il significato apparente di cose ed eventi. Non sono mai stata una grande oratrice, anche perché durante l’infanzia e la fanciullezza ho avuto dei problemi di pronuncia che mi rendevano ancora più timorosa del mondo esterno. Solo con la scoperta della scrittura, alla fine delle elementari, ho capito che quello era il canale perfetto per me, per trasporre quell’ultra-sensibilità in versi e dare un senso ordinato al mondo che scoprivo a poco a poco, un mondo non sempre perfetto e spesso crudele, ma che potevo in qualche modo rendere più accessibile grazie alla visione più ampia della scrittura.
Cosa vuoi raccontare, profondamente, con i tuoi versi?
Ho iniziato a scrivere all’età di 9-10 anni, cercando di uscire fuori dalla realtà ordinaria e immaginando mondi paralleli o descrivendo esperienze in modo sottile ed ermetico, facendo trapelare il non detto attraverso l’uso di metafore, suoni ed immagini celate fra le parole.
Con il tempo, anche dopo aver scoperto di aver ricevuto questo “dono” della poesia direttamente per via genetica (i miei zii materni hanno scritto e pubblicato libri di poesie a loro volta) la passione poetica si è associata anche ad un certo impegno in senso etico e sociologico, e da lì sono nate tematiche riguardanti l’uomo con tutte le sue finitezze ed imperfezioni: lo stupore, sensazione diventata misconosciuta nel mondo di oggi, in cui difficilmente si prova meraviglia di fronte a qualcosa perché si è persa la facoltà di osservare la Natura con occhi incantati e colmi di gratitudine; l’amore in tutte le sue varianti, come turbolento agire, chiave di volta e senso ultimo della vita.
La poesia in Italia non ha lo stesso pubblico della prosa, hai un'idea personale sul perché?
Non serve fare troppi giri di parole al riguardo: siamo rimasti un paese obsoleto, che cerca di stare al passo con l’avanzare tecnologico, ma parallelamente resta antiquato e polveroso sul versante letterario e dell’apprendimento della lingua italiana, detentrice di tesori di inestimabile valore a cui tutti possono accedere, anche i più piccini. Basta saper usare la giusta chiave di lettura, a seconda delle diverse fasce d’età.
Dagli ultimi studi fatti in materia, inoltre, è emerso che “circa il 71 % degli italiani non è in grado di decrittare un testo di media difficoltà scritto nella propria lingua": figurarsi un testo poetico, con la sua densità e le sue regole compositive!
Sono dell’idea che la rivoluzione debba partire dalla scuola: in qualità di insegnante di scuola primaria, cerco di fare del mio meglio per avvicinare i bambini alla parola poetica, non solo attraverso poesie per bambini, ma anche presentando i grandi del Novecento con un adeguato approccio didattico.
Come vorresti venissero lette le tue poesie, cosa consiglieresti al lettore?
Credo che le poesie vadano lette per quello che sono, senza sforzarsi necessariamente di trovare un significato al di là di quello interpretabile fra i versi. Bisogna lasciarsi cullare dalla musicalità dei suoni, abbandonare le resistenze che ci ancorano al mondo terreno e scendere nel profondo e vulnerabile universo delle sensazioni. Non è forse questo il vero significato di poesia in quanto “atto estetico”?
Mi piace pensare ad alcune poesie come ad un monito su cui fare affidamento, ad altre come un’immagine archetipica di qualcosa rimasto intrappolato nell’inconscio e fruibile attraverso metrica, figure retoriche, ritmo, simboli, come se il lettore si trovasse a tu per tu con se stesso e ritrovasse un senso primordiale in grado di donargli una pace temporanea.
Tu sei anche un'educatrice. Il tuo lavoro a contatto con i bambini, ai quali è necessario ribadire l'importanza di essere e rimanere umani di fronte ad un mondo che, da questo punto di vista, non li aiuta affatto, entra in qualche modo nel processo creativo?
Essere insegnante in una scuola primaria è una grandissima risorsa perché permette di prendere parte consapevolmente al processo di apprendimento in cui io stessa divento allieva e apprendo a mia volta. La società in cui viviamo sta subendo cambiamenti repentini ad una velocità impressionante e non si può più pensare ad una qualità di insegnamento stantio e autoreferenziale. Mi permetto di dire che tutto deve entrare nella scuola, a partire dalla filosofia, alla quasi dimenticata educazione civica, all’etica, ecc. dando la possibilità di discutere e riflettere su tematiche e valori importanti, anche sul piano negativo; conoscerlo sarà il modo migliore per affrontarlo qualora si presenti nella vita.
E qui entra in gioco il fattore più importante che è poi la sintesi di tutto quanto il discorso: educare al gusto attraverso la parola. Far conoscere le parole, gli scritti, i pensieri, le idee di grandi autori del passato, permette di entrare e di interpretare mondi lontani dal proprio e apre così la strada ad una predisposizione all’accettazione del diverso, dell’altro, del lontano. Rende consapevoli di non essere unici e spalanca le porte al molteplice e a svariati punti di vista.
La parola ha una forza potente, come suggerisce la buona vecchia Shahrazād de “Le Mille e una notte”: essa, infatti, consente di andare oltre la violenza e la guerra; basta solo saperla usare con arguzia per evitare spiacevoli conseguenze e andare al di là di quelle circostanze che si risolverebbero col mero conflitto.
Per questo la prima vera lezione di umanità passa attraverso le parole, fulcri fondamentali di valori e approcci all’esistenza; quindi, attraverso la poesia.