Christo: svelare la realtà, impacchettandola
“Beauty, science and art will always triumph”.
Nel 1958 il giovane Christo Vladimirov Javacheff sintetizza alcuni degli elementi cardine della propria visione artistica, annotando in una lettera queste parole, che sono state scelte dal suo entourage per condividere la notizia della scomparsa, avvenuta lo scorso 31 maggio.
L’artista bulgaro, naturalizzato statunitense, era nato a Gabrovo nel 1935 e, dopo essersi trasferito a Praga, era scappato a Vienna e a Ginevra per sfuggire alla repressione del regime comunista. Alla fine degli anni Cinquanta, si era poi spostato a Parigi, dove si era innamorato di Jeanne-Claude Denat de Guillebon, sua compagna di vita e componente imprescindibile del visionario duo artistico Christo and Jeanne-Claude, sopravvissuto idealmente fino ad oggi, anche dopo la morte di lei nel 2009.
Dagli anni Sessanta la coppia, trasferitasi in America, è celebre nel mondo per i monumentali interventi di Land Art ed esplora le infinite possibilità di quello che Rosalind Krauss definisce il “campo allargato” della scultura postmodernista: Christo e Jeanne-Claude problematizzano la realtà spaziale e mettono in discussione le logiche moderniste della prima metà del Novecento, tradizionalmente legate alla specificità del medium.
La pratica di avvolgere gli elementi scultorei e architettonici con teli sintetici diventa il carattere distintivo delle azioni dei due artisti, che indagano su scala monumentale i rapporti tra luce e ombra, sfruttando le possibilità espressive del panneggio e confrontandosi con le soluzioni formali di autori come Giotto, Rodin e Man Ray. Christo affermava, infatti, di dialogare idealmente con le vesti dei personaggi della Cappella degli Scrovegni di Padova (1303-1305), mentre ricercava una disposizione armonica ed equilibrata dei tessuti utilizzati per le opere; il corpo celato dalla veste da camera del Balzac di Rodin (1898) avrebbe spinto, invece, entrambi a riflettere sulla possibilità di “svelare occultando”.
Questa espressione, formulata per la prima volta nel 1970 dal critico David Bourdon, definisce il processo creativo di Christo e Jeanne-Claude ed evidenzia come i loro interventi riescano a indagare lo spazio espanso della scultura, nascondendo, però, i dettagli e qualsiasi riferimento alle proporzioni. Sulla scia di quanto avviene ne L’Enigme d’Isidore Ducasse di Man Ray del 1920 (una macchina da cucire avvolta in una coperta di lana e annodata con uno spago), gli artisti confezionano le loro installazioni riuscendo a spostare l’attenzione dello spettatore dal contenitore al contenuto: il tessuto sottrae allo sguardo l’aspetto esteriore dell’elemento scultoreo o architettonico e l’impossibilità di vedere accresce il desiderio di svelare ciò che è solo intuibile.
L’Italia rappresenta un luogo di affezione per la coppia e Christo è tornato a intervenire sul nostro territorio nel biennio 2014-2016, con The Floating Piers sul Lago di Iseo, documentato nel film Christo – walking on water del 2019. Per alcune settimane un sistema di pontili galleggianti, percorribili esclusivamente a piedi, ha unito il comune di Sulzano alle isole di San Paolo e Monte Isola, con un grande successo di pubblico e un consistente ritorno economico per il turismo della zona.
Il primo empaquetage italiano risale al 1963, quando l’artista aveva avvolto con del cellophane trasparente una delle statue del parco di Villa Borghese - la Wrapped Venus - e l’installazione, sopravvissuta incredibilmente quattro mesi, era stata scambiata per un intervento di conservazione.
Nel 1967 Christo aveva immaginato di impacchettare Ponte Sant’Angelo e ipotizzato con Palma Bucarelli di avvolgere, per la prima volta nel mondo, l’architettura di un museo, scegliendo la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma. Nessuno dei due progetti trovò compimento, ma il modellino rivestito dello spazio espositivo di Valle Giulia venne subito acquistato dalla coppia di collezionisti americani de Menil. Nel 1968, in occasione del Festival dei Due Mondi di Spoleto, il duo di artisti realizzò Wrapped Medieval Tower e Wrapped Fountain, e nel 1970, per il decimo anniversario della nascita del Nouveau Réalisme, i due Wrapped Monuments di Piazza Duomo e Piazza della Scala a Milano, coprendo con il polipropilene le statue di Vittorio Emanuele II e Leonardo da Vinci.
Nel 1974 a Roma furono, infine, avvolte per quaranta giorni Porta Pinciana e il tratto delle Mura Aureliane che collegava via Veneto a Villa Borghese, The Wall - Wrapped Roman Wall, grazie anche al coordinamento dell’amico, Guido Le Noci, proprietario della Galleria Apollinaire.
Christo e Jeanne-Claude si sono avvalsi della consulenza di ingegneri ed esperti, per verificare con test a dimensione reale la realizzabilità dei propri progetti e individuare i territori più idonei ad accoglierli. In alcuni casi, però, il periodo di gestazione delle proposte è durato anche decenni, prima di ottenere i permessi per occupare lo spazio urbano e trovare le circostanze più adatte per sviluppare concretamente l’idea concepita. Esempio emblematico è L’Arc de Triomphe, Wrapped, l’installazione che sarà inaugurata nel 2021 nella capitale francese: la coppia aveva immaginato questo intervento già nel 1962, sviluppando in maniera ulteriore le ricerche tra gli anni Settanta e Ottanta; a distanza di 35 anni da The Pont Neuf Wrapped, l’ipotesi si concretizzerà con la collaborazione del Centre des Monuments Nationaux e del Centre Pompidou.
L’opera parigina sancirà simbolicamente il momento conclusivo della carriera degli artisti, l’atto finale di un’intesa professionale vincente e di un rapporto d’amore durato più di sessanta anni.