“Ragazzi di vita” al Teatro Argentina: diapositive anni '50 dalla borgata romana, rivitalizzate da Massimo Popolizio e la sua compagnia

In scena al: Teatro Argentina dal 21 dicembre al 7 gennaio

Durata: 1 ora e 45'

Autore: Pier Paolo Pasolini

Regia: Massimo Popolizio

Cos’è il teatro se non un momento di serenità dalle asperità quotidiane, la spettacolarizzazione del vissuto e di ciò che viviamo?

La messinscena del testo di Pasolini realizzata da Emanuele Trevi e Massimo Popolizio regala queste emozioni, legate ad una Roma che non c’è più, che si è modificata nel tempo, cambiando gli interpreti, i disagi ed i problemi, i quali hanno mutato veste ma non sostanza.
Lo spettacolo è una finestra affacciata sulle scene dall’area suburbana capitolina negli anni 50’, dove altre erano le abitudini del ceto medio di oggi. E così, il giovane Riccetto e i suoi compagni, si divertivano a tuffarsi nel Tevere; affittavano una barca per andare al centro del fiume e sentirsi importanti; andavano a cerca di portafogli sul tram per soffiare agli altri viaggiatori qualche soldo da spendere; oppure si incamminavano verso Ostia per una gita al mare, desiderosi di soddisfare la loro libidine insieme a donne pronte a vendere il proprio corpo dietro adeguato compenso.

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Storie di vita del sottoproletariato romano, raccolte e descritte da Pasolini con feroce trasparenza nelle pagine del suo libro, attraverso un realismo schietto e senza freni, esaltato dall’uso del linguaggio dialettale che aderisce pienamente all’ambiente in cui ha luogo il romanzo. Scelta linguistica rispettata da Emanuele Trevi nella drammaturgia da lui pensata, che da quel libro pesca qua e là qualche pagina, mettendo a fuoco e catturando solo le scene più rappresentative, perdendo tuttavia in tal modo la fluidità narrativa. I diversi capitoli si trasformano dunque in diapositive teatrali che prendono vita nel proiettore diretto da Massimo Popolizio. Il regista romano non figura sul palco come attore, ma la sua presenza aleggia nell’aria e si materializza magicamente nelle interpretazioni degli attori, in particolar modo nel ruolo del narratore rivestito da Lino Guanciale, il quale finisce per essere il suo alter ego nella parte di guida dello spettatore attraverso le pagine del libro rispolverato.

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“Ragazzi di vita” è un album di vecchie fotografie cui è stata tolta la patina del tempo, riportato agli antichi splendori del passato. Immagini di borgata rese con vivace immaginazione da Massimo Popolizio e rappresentate con sinergica unione dagli attori che calcano il palcoscenico. Racconti di una Roma ormai lontana nel tempo ma non nelle problematiche, che hanno solo mutato veste.

Ed è questo il punto di forza di uno spettacolo pluripremiato e apprezzato da gran parte del pubblico, che accorre numeroso al botteghino attratto dalla vitalità e teatralità con cui quelle fotografie dimenticate sono illuminate, rendendo spettacolare quello che poteva (e può) apparire volgare, ma che al contempo porta a riflettere su ciò che eravamo e quanto invece oggi siamo.
Non a caso il fil rouge che lega le diverse fotografie è la storia di Riccetto e della sua evoluzione sociale, del suo imborghesirsi scordando le difficoltà a fronte delle nuove comodità. In tale aspetto si può ritrovare lo sviluppo del sottoproletariato romano, quello che un tempo si arrangiava alla bell’e meglio, pronto persino a rubare pur di sfamarsi, e che oggi – invece – essendo parte del ceto medio ed avendo più potere economico, si dimentica con troppa frequenza delle sue origini, del calvario attraverso cui è dovuto passare, chiudendo il naso o fingendo di non vedere i problemi che attanagliano i nuovi poveri e le nuove borgate.

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Massimo Popolizio rende tale aspetto efficacemente, in una messinscena che durante tutto lo spettacolo lascia sottotraccia la morale pasoliniana per riemergere con rinnovata forza nel finale, quando Riccetto, oramai appagato dalla nuova posizione sociale, lascia annegare uno di quei ragazzi di vita cui apparteneva un tempo e, con lui, il suo passato.
Un lavoro in cui il regista ha fatto tesoro di tutte le sue esperienze precedenti: dai numerosi reading letterari alle collaborazioni con Ronconi (di cui ha portato i momenti in cui gli attori parlano delle vicende dei loro personaggi con il pubblico, sospendendo idealmente il tempo teatrale della rappresentazione), sino alla sua romanità, che emerge prepotentemente.

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Elementi da cui attinge per colorare le diverse scene insieme a Marco Rossi, veri e proprio tableau vivant che stupiscono per originalità. Come il momento della lotta tra i cani nel parco, un frangente di puro divertimento, dove tre attori personificano i diversi animali svelandone sentimenti ed intenzioni; oppure in quello dei tuffi nel Tevere o del furto nel tram, scene realizzate attraverso movimenti precisi e semplici carrelli, che viaggiano insieme sui binari della felicità. Una scenografia povera ed essenziale come gli stessi ragazzi di borgata, ma allo stesso tempo evocativa e profonda, che non ha confini in quel palco privo di quinte trasformandosi in una vera e propria città animata dal popolo di attori, scoppiando in uno stupefacente caravanserraglio ove risuonano le avvolgenti canzoni di Claudio Villa, Adriano Celentano e Luciano Virgili e Vittoria Mongardi (in calce trovate tutte le canzoni suonate).

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Uno spettacolo brillante e ben orchestrato, cui tuttavia non mancano alcune sbavature. Si potrebbe opinare sulle abilità canore di Lorenzo Grilli (Riccetto) – che non eccelle nei momenti di canto – sull'interpretazione resa da Roberta Crivelli (Nadia) nella parte della prostituta – che non appare particolarmente credibile – sul personaggio di Josafat Vagni (amico di Riccetto) – che non offre una versione convincente, apparendo eccessivamente naif (anche se occorre notare, a onor del vero, che può capitare di imbattersi in persone simili…) –, ma il segreto di questo spettacolo risiede nell’eccezionale prova corale, in cui si esaltano Giampiero Cicciò (Froscio), omosessuale disinvolto che cade ingenuamente nel tranello di Riccetto per estorcergli denaro, e Lino Guanciale, incredibilmente abile nel conferire forza espressiva alle parole di Pasolini, vere e proprie fotografie viventi di cui ci si innamora facilmente.

“Non sapevo che si potesse mettere tanto amore in una fotografia” (Rossella Falk in D’amore si muore).

Gradimento Autore: 8.7/10 (Drammaturgia: 8/10 Regia: 9/10; Interpretazione: 8.5/10; Scenografia: 9/10)

Drammaturgia: Emanuele Trevi

Interpreti: con Lino Guanciale e Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Cristina Pelliccia, Silvia Pernarella Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga Josafat Vagni, Andrea Volpetti

Scene: Marco Rossi

Costumi: Gianluca Sbicca

Luci: Luigi Biondi

Canto: Francesca della Monica

Video: Luca Brinchi e Daniele Spanò

Assistente alla regia: Giacomo Bisordi

Premi: Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2017 come migliore spettacolo della stagione; Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2017 come migliore regia; Premio della Critica Teatrale Italiana 2017 come migliore regia; Premio Ubu 2017 per la migliore regia

Canzoni dello spettacolo:

  • Claudio Villa – Il mare

  • Vittoria Mongardi – Notturno (Per Chi Non Ha Nessuno)

  • Claudio Villa – Serenata celeste

  • Claudio Villa – Rondinella

  • Luciano Virgili - Prigioniero d'un sogno

  • Claudio Villa – Zoccoletti

  • Adriano Celentano – Basta

  • Claudio Villa – Desiderio di baci