Ricostruire per riusare, i restauri degli Squatriti

Mentre parlo con Federico Squatriti sta ricostruendo il dito di un piede di una bambola. Con una piccola spatola passa lo stucco e poi lo modella, fino a dargli la forma voluta. Ora manca solo di applicare lo smalto; poi, quello che prima sembrava un pezzo pronto per essere buttato, tornerà come nuovo. 

È da diverse generazioni che gli Squatriti portano avanti il mestiere del restauratore. Da quando la madre di Federico, Gelsomina, aprì l’attività in via Ripetta 29 nel 1953. Passeggiando lungo la strada, saltano subito all’occhio le teste riparate delle bambole, in mostra nella vetrina. Ma non è la loro unica attività.

 
Federico Squatriti - foto di Fabrizio Risa

Federico Squatriti - foto di Fabrizio Risa

 

Cosa riparate?

Di tutto.

Una signora si affaccia alla porta. “Salve Maria”, le fa Federico Squatriti, “come sta?”. “Bene, grazie”, risponde lei. “Me lo può riparare?”. E gli porge dei pezzi ricoperti da carta di giornale. “Certo”, risponde lui. “Passi pure domani che sarà pronto!”.

Vedi, adesso mi hanno portato un piatto. Per noi è importante il riuso di quanto è stato rotto.

 
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Quindi le bambole non sono la vostra attività principale. 

Per niente. 

Però vi chiamano “Ospedale delle bambole”.

Sai, perché quando guardi da fuori il nostro negozio ci sono un po’ di bambole. E poi le persone devono dare un’etichetta a qualsiasi cosa.

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C’è chi scrive anche “atmosfera horror”, ma non sembra. 

Ognuno interpreta a modo suo. 

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Quanto viene un lavoro?

Molti lavori sono semplici e posso fare prezzi bassi. Questo qui (indica il piatto che ha portato la signora) glielo faccio gratis. È una cliente da tempo.

Ogni volta che mi avvicino a questo negozio, sento odore di colla. È il vostro tratto distintivo?

Ogni attività ha il proprio odore caratteristico. Quando ero piccolo mi fermavo davanti alle tintorie qui in zona per sentire l’odore che veniva da dentro. Era forte, ma a me piaceva tanto. 

Che colla usi per riparare gli oggetti?

Dal Vinavil al Sintolit, che è una colla che ricostruisce, fino al paraloid, che invece dà brillantezza.

Le colle sono tutte in boccette di diverse forme e dimensioni.

Le metti tu dentro?

Sì, sono come un alchimista. 

E quali colori usi per lavorare?

A smalto, a tempera, anche per la stoffa. Dipende dalla situazione.

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Questo compressore sotto il tavolo per cosa lo usi?

Per dare il colore. Non tutto si può dare a pennello, e questo funziona come uno spray.

La lametta che stai usando a cosa ti serve?

Per rimuovere il mastice. C’è un barbiere qui vicino che, dopo averle disinfettate, mi dà quelle che gli avanzano.

Non buttate via nulla. “Riusare” è un po’ il vostro motto.

Guarda qui. Mi indica il piano di lavoro. Chiodi antichi, pezzi di ferro, molle di bambole antiche: ti possono sempre servire. Adesso magari pensi di no, ma poi in futuro, quando si presenta l’occasione giusta, allora ce l’hai. È per questo che li tengo.

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Siete gli antagonisti del consumismo.

Non proprio: perché le cose che portano qui non si possono rifare. Questa (indica un volto in ceramica) era stata fatta per un matrimonio 70 anni fa. Ma c’è anche un lato negativo del voler riparare a tutti i costi. 

 
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Ovvero?

Al signore che mi aveva portato questa ceramica gli avevo detto: “Non li spendere i soldi per ripararlo, perché non vale la pena”. Non c’è stato verso. Prima ha voluto riparare solo un pezzo, poi adesso vuole il restauro intero. Sono troppi soldi. Il ricordo può essere sanato, ma non farlo ritornare com’era.

In alcuni casi c’è quindi un attaccamento morboso.

A volte anche troppo. 

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Entra un altro signore dalla porta. E mi accorgo solo ora che non è come quella di altri negozi.

Questa porta ha ancora la buca delle lettere!

È la porta originale, che ha trovato mia nonna 70 anni fa quando ha aperto nel 1953.

Attività che è stata portata avanti da tuo padre.

Dopo la guerra, mia nonna gli ha fatto fare un apprendistato da uno che riparava oggetti. È lì che hanno imparato il mestiere (all’epoca non c’era poi la ricerca della perfezione come oggi).

Ti ricordi il primo oggetto che hai riparato?

No, anche perché prima che ne ho riparato uno sono passati 6-7 anni. 

Davvero?

Certo. Quando hai attaccato un oggetto non lo stacchi mica facilmente. 

E che facevi?

Compravo il gesso, pulivo le spatolette, andavo a prendere l’acqua. E stavo qua.

E guardavi.

E imparavo. Anche se non era quello che volevo fare: vedevo i miei sempre con le mani e i vestiti sporchi (guarda il camice con macchie di colore e di colla). Però, quando entravano alti funzionari, magistrati, politici e salutavano con rispetto, mi sono detto “mica male”. Pensa che una volta mi ha telefonato il presidente Ciampi, quando era presidente della Repubblica. 

Avete clienti di tutti i tipi?

Sì, vengono anche parecchie ambasciate.

Il più noto?

Non lo nominiamo, ma basta che guardi (indica una foto dietro di lui). Con tanto di dedica fatta ai miei genitori. Quand’era in Portogallo ci mandò del lavoro e come ricompensa ci inviò la foto e la bandiera.

“A Mario e Gelsy Squatriti. Umberto”, Umberto II di Savoia, l’ultimo Re d’Italia

Il locale è vostro? 

Siamo in affitto da una vita. All’epoca non si compravano i locali. Stavi in affitto e basta. Poi è cambiato: il centro è cresciuto, è diventato più importante e quindi più caro. Ormai stiamo qua, finché riusciamo a pagare.

Rapporto con i proprietari? 

Basta che gli dai i soldi e tutto va bene. Siamo sempre riusciti a trovare un accordo. D’altronde lui vuole affittarlo e noi pure. 

E se il proprietario dovesse decidere di vendere ad altri?

Ma una gallina dalle uova d’oro tu la venderesti? Un negozio in centro ti dà una rendita perpetua. Tua e di quelli che vengono dopo di te. Certo, il centro storico comincia a essere un po’ più spopolato di artigiani. Con la crescita dell’online, molti negozi non vanno più avanti. Ferramenta e altre attività non hanno più senso: compri su Amazon e ti arriva tutto subito il giorno dopo. Molti hanno chiuso perché non puoi competere con l’online. 

Quello che fate voi è invece un lavoro manuale.

Sì, non c’è tanta alternativa. Devi essere contento se c’è.

Siete riconosciuti come bottega storica? 

No, non ci interessa. Non abbiamo fatto nemmeno la domanda.

Però, così, la vostra tradizione si potrebbe perdere, visto che il proprietario non avrebbe vincoli (ndr, i proprietari di uno locale dove c’è una bottega storica riconosciuta non possono vendere ad altri che non facciano la stessa attività, a meno che il locale rimanga inutilizzato per 5 anni) per vendere. 

Ma tutto va via. Non puoi pensare che resisterà sempre. Esisteremo per un periodo, finché serve. Certo, io qui ho trovato un grande patrimonio perché i miei genitori mi hanno lasciato tanti clienti, ma ci sono alcuni negozi che facevano il mio stesso lavoro che hanno dovuto chiudere. Se non hai una buona clientela, non puoi andare avanti.

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Un rapporto che si basa sulla fiducia. Ce ne deve essere molta?

Per lasciarti gli oggetti è essenziale.

Un lavoro del genere non è facile.

Sai, quando lo fai da sempre, sei abituato.

Ti senti un artista?

Gli artisti sono Canova, Caravaggio e altri. È chi innova, chi fa qualcosa di nuovo. Nel mio caso, invece, a volte mi trovo a dover pensare come avevano ideato l’opera. Ti devi informare, studiare e entrare nella loro mente. Anche perché di queste cose non ci sono foto. Qua (indica una statua a terra di una donna) ho dovuto ricostruire le dita.

Di chi è?

Si chiama Leoncillo Leonardi, considerato il miglior ceramista d’Italia anche se sconosciuto alla quasi totalità delle persone. Questa qui (ndr, la statua) penso che sta sui 50mila euro. E pure di corsa.

Quanti anni ha quest’opera?

È stata mandata negli anni Cinquanta in Israele per la prima mostra che hanno fatto dopo la Dichiarazione d’indipendenza israeliana nel 1948. Ed è stata dimenticata là per 50 anni.

E adesso?

È di un gallerista che l’ha comprata. Più che altro ha fatto una ricerca e l’ha ritrovata. Era negli archivi e nessuno sapeva che fine avesse fatto. 

C’è un’altra statua dentro il negozio che raffigura una donna della Belle Époque. 

 
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Questa è tua?

Pensa che un cliente l’aveva portata circa una ventina di anni fa per farla riparare. Noi gli avevamo chiesto 300 mila lire, e lui ci fece vedere che l’aveva pagata quella cifra. Allora gli ho detto: “Se ti do 300 mila lire, me la vendi?”. Così l’abbiamo comprata. 

Qualcuno te l’ha mai chiesta?

Me la chiedono in molti, ma non la vendiamo a nessuno. È di fine Ottocento, firmata da un artista francese. Ci sono alcune cose che mi piace tenere. Questo è un Picasso (indica una statuetta sopra una mensola). L’artista spagnolo aveva dato mandato a una ditta franco-spagnola di produrre in serie limitata alcune sue opere. Di ognuna ne facevano 100. Questa varrà 13-14 mila euro.

Da chi l’avete comprata?

Dal figlio di un signore che aveva lavorato in una villa che era di proprietà di Picasso. Dice che gliel’aveva regalato.

Federico Squatriti indica poi altri oggetti che ha sulla mensola davanti a dove lavora.

Questi sono piatti in ceramica di Fornasetti. Li ho trovati in un evento di moto in Olanda (Federico Squatriti è un grande appassionato di Harley Davidson, ci sono alcuni adesivi nel negozio). Al commerciante di un banco del mercatino ho chiesto: “Quanto vuoi?”. E lui: “10 euro”. Li ho presi subito.

Un altro oggetto che mi piace molto è questo boccale, realizzato per il festeggiamento di Vienna di Maria Teresa d’Austria. Dietro c’è ancora il doblone d’argento che la raffigura. È del 1870: tutto fatto a mano.

Quindi succede che a volte comprate ciò che vi portano a riparare.

Solo per la statua della donna e per la bambola laggiù. È molto particolare: le scarpe sono state valutate 500 euro. È fatta tutta in pelle di capretto. È francese, di fine Ottocento. Una rarità. È quotata intorno ai 14mila euro. 

È una piccola galleria d’arte questa.

No, è la raccolta di oggetti che mi piacciono. E non è che ho oggetti solo costosi, ma anche tanti che non valgono nulla però a cui sono legato. 

Quello a terra è un Jeff Koons?

Sì, il cane.

Invece il pinocchio su quella mensola ha qualche valore particolare?

È di fine Ottocento. I turisti ne vanno matti. 

 
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Hai tante storie da raccontare.

Sì, anche perché sono passate tante persone. Un tempo veniva il regista Luigi Magni. Si metteva qui seduto a chiacchierare. La moglie, che intanto andava a comprare la carne, ogni tanto passava e gli diceva: “Luigi, vogliamo andare?!”. Magni mi spiegava del paradosso dietro fascetta nera, che non era una canzone fascista perché inneggiava all’unione tra “razze” e questo non era concepibile nell’Italia imperiale (ndr, Mussolini odiava la canzone. Per approfondire link). E di quando litigava con Rutelli, allora sindaco di Roma, che voleva fare il sottopassaggio che partiva da qui e andava sotto San Pietro. E Gigi Magni gli faceva: “A pupone (così lo chiamava) nun se po fa’. Perché sotto Castel Sant’Angelo ci trovi tutti reperti archeologici”. 

La cosa più strana che ti è capitata di riparare? 

Tolteca. Tre scatoloni che venivano dal Messico. C’è voluto un anno per metterlo a posto, ma l’abbiamo rimesso in piedi. Una “ficata”.

Accidenti. 

Sì, veramente fico. 

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