Road movie, tre film per viaggiare con la mente
Mollare tutto e partire. Sulla sella di una motocicletta, su un’automobile, a piedi o addirittura sopra un tagliaerba, poco importa quale sia il mezzo, ciò che conta è il viaggio, la strada.
Questa l’essenza del genere cinematografico definito “Road Movie”, che affonda le sue radici negli Stati Uniti. Là dove gli spazi sono sterminati e le strade corrono per chilometri in distese infinite si è alimentato il mito del viaggio, in particolare quello verso Ovest, alla rincorsa di sogni ed aurei bottini.
Se i prodromi del Road Movie si possono cogliere già nei film western, da Ombre rosse a Sentieri selvaggi, è stata la letteratura a plasmare l’immaginario della strada. Il viaggio della famiglia Joad a bordo di un autocarro lungo la Route 66 e quello di Sal Paradise fra bus e autostop, narrati rispettivamente da Steinbeck in “Furore” e da Kerouac in “On the Road”, hanno ispirato musicisti e registi nel raccontare storie legate alla strada.
Sterminata ad oggi la filmografia di genere. Fra i numerosi titoli ne abbiamo scelti tre che per importanza o singolarità meritano assolutamente una visione.
Il sorpasso, Dino Risi, 1962.
Capolavoro del regista milanese, Il sorpasso è il più celebre dei Road Movie all’italiana. A bordo della sua Lancia Aurelia B24, Bruno Cortona – un vulcanico Vittorio Gassman – trascina con sé il giovane studente di legge Roberto Mariani (un ottimo Jean-Louis Trintignant), in una calda giornata d’estate. L’improbabile e improvvisata coppia intraprende un viaggio lungo la via Aurelia, verso nord, che li porterà fino in Toscana, facendo incontri occasionali fino alla visita ad alcuni parenti di Roberto e alla ex-moglie di Bruno. Quella che doveva essere una semplice gita fuori porta di Ferragosto si trasforma in un viaggio iniziatico dal finale drammatico, che ci porta a scoprire non solo la storia dei due personaggi, ma soprattutto quella dell’Italia dei primi anni Sessanta, quella del boom economico. Memorabile è la prima scena del film girata realmente il quindici di Agosto in una Roma deserta e metafisica, nel neonato quartiere della Balduina.
Le saracinesche si abbassano, i suoni delle trombe si alzano, e la Lancia corre sull’asfalto rovente…
Easy Rider, Dennis Hopper, 1969.
Il Road Movie per antonomasia, il più celebre e mitico di questo genere. Easy Rider incarna alla perfezione un’epoca, un preciso periodo storico e una tendenza culturale. Le caratteristiche Chopper come mezzo di trasporto, il selvaggio West come sfondo e alcuni dei più celebri brani musicali della controcultura di allora – Jimi Hendrix e Dylan solo per citarne alcuni – come colonna sonora. Il viaggio che compiono Billy e Wyatt è una sorta di Odissea psichedelica, che li porterà dalla California a New Orleans per vedere il famoso carnevale. Lungo la strada fanno molti incontri, consumano droghe, finiscono in carcere e conoscono un giovane avvocato di provincia (Jack Nicholson nella sua prima parte importante) che li aiuta ad uscire di galera. La strada è presente lungo tutto il film ed è sinonimo di libertà, proprio quella libertà che l’America vedeva minacciata dai recenti omicidi di Luther King, Malcom X e dei Kennedy (ai quali alluderebbe il violento e tragico finale). La pellicola è avvolta da un alone di mito: non esisteva un vero e proprio copione, dunque i dialoghi sono per la maggior parte improvvisati, mentre l’uso delle droghe non è simulato ma reale. Il rombo del motore tuona, la strada chiama, col vento fra i capelli si va alla ricerca della libertà.
Una storia vera, David Lynch, 1999.
Dimenticate il Lynch visionario e surreale, quello sulfureo e folle di Eraserhead e di Mulholland Drive. Questo film, insieme a The Elephant Man, è il più umano e sensibile del geniale regista americano.
Alvin Straight è un contadino dell’Iowa di oltre settant’anni. Conduce una vita tranquilla e sedentaria fino a quando riceve la notizia che il fratello Lyle, con cui non parla da dieci anni, è reduce da un infarto. Alvin decide di andare a trovarlo, il solo problema è che non guida la macchina e non ha alcuna intenzione di farsi accompagnare da qualcuno. La soluzione? Percorrere i quasi quattrocento chilometri che lo separano dal fratello con il suo tagliaerba. Un viaggio assurdo agli occhi di tutti, ma il vecchio contadino è caparbio e non si ferma di fronte alle difficoltà (come i numerosi guasti). Il paesaggio pianeggiante e a tratti leggermente ondulato della campagna americana fa da sfondo a questo lento tragitto, durante il quale lo spettatore ha il tempo di affezionarsi ad Alvin, un bravissimo Richard Farnsworth, e di fare la conoscenza dei vari personaggi incontrati sulla strada. Il ritmo lento del film e del viaggio (il tosaerba corre ad una velocità di 8km orari), in antitesi con l’idea comune dell’on the road, concetto legato ad una certa velocità, ne fanno un Road Movie decisamente atipico, eppure di grande potenza e trasporto emotivo.