Salvare il mondo con una canzone: Running up that hill di Kate Bush

Running up that hill di Kate Bush balza ai primi posti delle classifiche di mezzo mondo, un brano del 1985 che ha fatto la storia della musica, estratto dall’album Hounds of love. Il merito è dell’ultima stagione di Stranger Things, che ha conferito un ruolo di primo piano a questo pezzo all’interno di una narrazione che si fa sempre più oscura e drammatica. Non si tratta soltanto di un sottofondo musicale orecchiabile e accattivante, o di una citazione nostalgica in linea con il mood agé della serie di Netflix. Evitando di fare spoiler, possiamo dire che la canzone erutta sulla scia di un vero e proprio climax emotivo, mettendo in relazione la vicenda personale e interiore di un personaggio e il potere salvifico della creazione artistica.

Kate Bush, artista che ha fatto della riservatezza un picchetto d’onore, è sempre stata molto gelosa della sua privacy, della sua immagine e delle sue creazioni. Infatti, per citare un caso emblematico, nel 2016 si rifiuta di concedere i diritti di riproduzione della title track dell’album Hounds of love ad un film omonimo, chiamato così proprio in onore di questa pietra miliare della musica. Così, il bel thriller del regista australiano Ben Young si ritrova senza la colonna sonora che avrebbe dovuto fungere da spina dorsale della narrazione, che appunto mette insieme i temi dell’inseguimento e dell’amore.
Il caso di Stranger Things è diverso. Kate Bush si è dichiarata fan della serie, e ha concesso questa volta l’autorizzazione senza esitazioni, scatenando il fenomeno di questo revival inaspettato.

"If I only could, I'd be running up that hill”


Cosa racconta questa canzone dal titolo così evocativo? Come stanno scrivendo sui blog di mezzo mondo, attirati dal rinnovato successo di questo classicone degli anni Ottanta, il tema centrale è il rapporto con l’altro. Non si tratta del conflitto fra uomo e donna, ma piuttosto della ricerca di una relazione che superi ruoli di coppia e di genere che imprigionano desideri e identità. Kate Bush trasforma una sua visione, un’utopia immaginaria, in un pezzo dal potere ammaliante, stregonesco. Pervasa dal fervore di una fede pagana declama il suo anelito, una preghiera disperata: se solo potessi fare un patto con Dio, e - attraverso il gesto simbolico di scalare una collina – riuscire magicamente a scambiare la mia pelle con quella della persona che mi sta accanto, che non capisco ma che vorrei comprendere, per smettere di ferire e ferirmi. La canzone, infatti, in origine doveva chiamarsi “A Deal With God”, ma per scongiurare il rischio di censura si è optato per un titolo più prudente.


And if I only could, I'd make a deal with God,

And I'd get him to swap our places,

Be running up that road, Be running up that hill,

Be running up that building.

If I only could, oh...


“Let's exchange the experience, oh..."


Questa immagine onirica, questo sogno di speranza allucinata, nel videoclip della canzone si traduce in una danza che ha le sembianze di una lotta. L’armonia fa da padrona alla coreografia elegante e drammatica che vede scontrarsi e incontrarsi Kate Bush e Michael Hervieu, illuminati dal morbido bagliore di una luce tenue e soffusa che li rende creature fatate ed irreali. La messa in scena sublimata di questa visione si infrange nella limpida e disarmante poesia di questa strofa:


You don't want to hurt me,

But see how deep the bullet lies.

Unaware I'm tearing you asunder.

Ooh, there is thunder in our hearts.


Poche parole, che descrivono con precisione la difficoltà e il dolore che si incontrano nel dialogare con questo altro così prossimo e così lontano da noi, che vorremmo comprendere, anche se non abbiamo nessun linguaggio in comune. Il dolore idealmente potrebbe fungere da elemento di comunanza, ma più realisticamente sappiamo tutti che scontrarsi con la sofferenza – quella propria e quella dell’altro – finisce solo per creare una condizione di freddezza e allontanamento, che non risolve nulla ma che sembra rappresentare l’unica soluzione sostenibile. “Unaware I'm tearing you asunder” canta Kate Bush, assumendosi la propria parte di responsabilità nella creazione di questa impasse relazionale, paradossalmente creata da due persone che si vogliono bene. Nel suo canto non ci sono né accuse né recriminazioni: solo la constatazione di un disagio condiviso. Ma come si esce da questa condizione di stallo? Nessuna risposta, Running up that hill si chiude nell’esoterismo di questa fantasia impossibile. Spetta all’ascoltatore interpretare la canzone e farsi portavoce di una traduzione possibile nella nostra realtà fenomenica. Allora tocca chiedersi perché una serie cult e horror come Stranger Things, fatta di adolescenti nerd e mostri perturbanti abitanti universi alternativi, ha preso questo testimone, assumendosi la responsabilità di dare una nuova lettura (e una nuova speranza) a questa musica e a queste parole.


Cose strane (ma neanche troppo)

Qui potrebbero esserci degli spoiler. Procederò con una scrittura metaforica che cercherà di rispondere alla domanda precedente senza disvelare troppo della trama.
La canzone fa capolino nella serie in un momento preciso. Il nemico mostruoso della quarta stagione ha il volto dell’altro, deformato dalla paura che abbiamo del diverso e scavato dalla sofferenza che abita il suo universo di dolore, separato e connesso al nostro attraverso un canale invisibile. La disperazione di un personaggio caduto nelle sue mani potrebbe trascinarlo per sempre in tale abisso, catturato dalla ragnatela tesa da questo nemico estremamente potente e persuasivo. È proprio l’incontro con Running up that hill di Kate Bush che lo salva, perché questa è la sua canzone preferita, una canzone che ha come tema l’incontro con l’altro, ma vissuto in una prospettiva completamente diversa.
L’alterità dell’antagonista parla di divisione, esclusione, stigmatizzazione: trascina in un mondo completamente privo di bene e bellezza, che ha un solo volto, anzi nessuno. Come Satana, rappresenta la separazione, come l’Apocalisse, rappresenta la perdita e la svalutazione di ogni significato.
L’alterità incarnata di Running up that hill, invece, vive in un universo dialogico: l’altro fa paura, è vero, ma lo vedo, lo riconosco. Non ha soltanto una faccia, ma ne ha tante, tantissime. La sua esistenza non è soltanto fonte di dolore, ma anche di gioia… e questa fiammella riaccende una speranza.

L’accettazione e l’apertura verso una quota di sofferenza che fa parte sia della vita che dell’arte spinge il personaggio catturato, sulle note incalzanti di questo pezzo solenne, a sfuggire dalla prigionia e dal silenzio, per tornare insieme ai suoi compagni a rivivere l’amore, l’amicizia e la fratellanza. Cavalcando il battito elettronico di quella musica enorme e grandiosa risuonano tutte le esperienze e le condivisioni autentiche e preziose che hanno fatto parte del suo vissuto. Così la preghiera impossibile di Kate Bush può prendere forma, lasciando aperta la possibilità di un avvenire che è ancora da scriversi perchè aperto al dialogo con l’altro, che grazie a questo scambio perde le sue sembianze mostruose, anche al termine di un’utopia.