Settizonio, cosa resta del più scenografico ingresso di Roma
Per i viaggiatori che provenivano da sud per visitare l’antica Roma, la via Appia era la strada obbligata per arrivarci e a questi, appena giunti al termine della stessa, la prima immagine della città che catturava la loro vista era una estesa e policroma facciata, denominata Settizonio, lunga un centinaio di metri e alta una quarantina.
Questo stupefacente monumento, simile nell’aspetto ai fondoscenici architettonici teatrali, fu voluto dall’imperatore Settimio Severo (146 a.C.-211 d.C.) e pensato infatti come un gigantesco manifesto per sbalordire da subito i forestieri e prepararli alla magnificenza degli edifici che avrebbero potuto ammirare entrando poi nella città.
Posizionato sulle pendici del colle Palatino antistanti il colle Celio e incluso nel quartiere imperiale retrostante realizzato dall’imperatore Domiziano, era costituito da tre grandi nicchie semicircolari e due avancorpi laterali a base quadrata su più piani colonnati ad altezza decrescente ed era adorno di marmi policromi, colonne corinzie, fontane e sculture.
I tre nicchioni ospitavano altrettante fontane a base circolare i cui getti venivano raccolti in un’unica vasca collocata più in basso.
La sua planimetria è riprodotta nella Forma Urbis, la pianta marmorea di Roma commissionata dallo stesso Settimio Severo in seguito al quasi totale restauro della città dopo l’incendio che l’aveva distrutta nel 192 d.C.
Il misterioso nome di Settizonio (Septizonium o Septizodium) è di derivazione incerta e per lungo tempo si è ipotizzato che il numero sette presente nel nome (septem) indicasse una struttura articolata su sette piani ma un’altra ipotesi, più realistica, ha ritenuto invece che si riferisse alla struttura che conteneva le statue delle sette divinità planetari di Saturno, Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove e Venere.
In alcune guide medievali l’edificio infatti veniva anche denominato Septemsolium in chiaro riferimento alle sette sfere celesti.
A conforto poi che i piani non fossero sette ma solo tre varrebbe la considerazione che quella struttura per le sue dimensioni non avrebbe potuto sopportare il peso di ulteriori quattro piani e che esistono diverse rappresentazioni grafiche, fino dalle più antiche, che univocamente lo dimostrano.
Il Settizonio fu eretto nel 203 e rimase sicuramente integro fino al 1198 dato che l’8 gennaio di quell’anno vi si sarebbe tenuto il primo conclave della storia che elesse papa Innocenzo III ma è probabilmente nel basso medioevo che movimenti tellurici ne determinarono il crollo della sezione centrale e quel che ne restava fu trasformato in fortezza dalla potente e nobile famiglia dei Frangipane.
Le famiglie patrizie che dominarono successivamente e ne acquisirono la proprietà contribuirono a un suo progressivo degrado con il prelievo nel tempo di marmi pregiati, colonne e decori ma è con Papa Sisto V che ciò che oramai restava del Settizonio venne completamente distrutto tra il 1588 e il 1589 per mano del suo architetto Domenico Fontana al fine di riutilizzarli per la costruzione di nuovi edifici.
Il famoso archeologo Rodolfo Lanciani cita una lista dettagliata dei monumenti costruiti da papa Sisto V grazie al riutilizzo di quegli antichi materiali: «Trentatré blocchi di pietra furono usati nella fondazione dell'obelisco di Piazza del Popolo; 104 blocchi di marmo nel restauro della Colonna Antonina, includendo la base della statua di San Paolo che la corona; 15 nella tomba del Papa nella Cappella del Presepio in Santa Maria Maggiore, e altrettanti nella tomba di Pio V; la scalinata della Casa dei Mendicanti presso Ponte Sisto, il «lavatore» delle Terme di Diocleziano, la porta del Palazzo della Cancelleria, la facciata nord di San Giovanni in Laterano, con il cortile e la scalinata, infine la chiesa di San Giacomo degli Schiavoni, usufruirono delle spoglie del Septizodium ».
Il Settizonio era nell’antichità una tipologia monumentale definita e presente in altre città dell'Impero Romano, soprattutto nel Nordafrica, come Cincari, Henschir Bedd e Lambaesys e al riguardo si ricorda che Settimio Severo era di origine africana.
Del Settizonio di Roma restano oggi solo alcune modeste testimonianze: il selciato pavimentale dove sorgeva e un frammento di una statua acefala, probabilmente il fiume Tevere, oggi conservata nel Museo Palatino.