La colossale statua della Dea Fortuna, oggi alla Centrale Montemartini
Il Piano Regolatore di Roma del 1909 aveva previsto il congiungimento di via Arenula con Corso Vittorio Emanuele II, lavori che furono ribaditi dal nuovo Piano nel 1919 anche se si era a conoscenza che quell’area era di grande importanza archeologica nonostante che nel corso del Medioevo fosse stata progressivamente urbanizzata con la costruzione di edifici religiosi e civili.
Tutta l’Area Sacra era destinata, quindi, a essere distrutta per la costruzione di grandi palazzi a opera dell’Istituto Romano dei Beni Stabili, proprietario dell’area, in base ad una convenzione con il Comune di Roma.
Le demolizioni iniziarono nel 1926 con l’abbattimento della chiesa cinquecentesca di San Nicola dei Cesarini portando allo scoperto un complesso archeologico di quattro edifici sacri che portò alla sospensione dei lavori di sbancamento.
Acceso fu il contrasto tra i fautori della zona archeologica e quelli dell’edificazione fino a che Mussolini in persona, recatosi sul luogo il 22 ottobre 1928 e ascoltati i pareri della due fazioni, si pronunciò per la conservazione dell’area.
La sistemazione dell’Area Sacra fu eseguita sotto la direzione di Antonio Muñoz, allora Soprintendente ai monumenti del Lazio, che successivamente si occupò della trasformazione urbanistica di importanti zone del centro storico romano.
Muñoz, fautore del recupero dell’originale di un bene archeologico con l’eliminazione delle sovrapposizioni edificate successivamente, ripulì i ruderi romani non solo di quasi tutti i resti medioevali ma anche di costruzioni tardo-imperiali, giudicate di importanza minore.
I lavori furono eseguiti in sei mesi e il 21 aprile 1929 il “Foro Argentina” fu inaugurato dallo stesso Mussolini.
In questa Area Sacra sono stati ritrovati i resti di quattro templi, con ingresso a est secondo l’orientamento del sorgere e del calare del sole, che rappresentano il complesso più importante di edifici sacri d'età repubblicana media e tarda.
Per poterli identificare, in passato, erano stati denominati con le lettere A, B, C e D, ma oggi si è in grado di poterli identificare con sufficiente certezza nella loro dislocazione riportata nella pianta seguente.
Il tempio A è il secondo più antico dopo il tempio C, con un podio alto dieci piedi e con severe cornici. La platea è in tufo e vi poggiava un altare in peperino, che si è conservato solo in parte.
In seguito il tempio venne completamente rifatto con un colonnato tutto intorno all'antico edificio che divenne così, alla maniera greca, la cella di quello nuovo.
Si tratterebbe del tempio di Giuturna, la ninfa delle fonti, o del tempio di Iuno Curritis, una antica divinità italica assimilata a Giunone.
Su questo tempio venne costruita la chiesa di San Nicola dei Cesarini di cui sono ancora presenti alcuni resti come le absidi e un altare.
Il tempio B è il più recente e l'unico dei quattro costruito su pianta circolare e si ipotizza che sia l’Aedes Fortunae, ossia il tempio della Fortuna.
Oltre al basamento ne rimangono sei colonne che originariamente circondavano tutto il tempio e il podio.
La cella è circolare e costruita con opera incerta mentre le colonne sono in tufo coperte di stucco con le basi e i capitelli in travertino.
Il tempio C, il più antico dei quattro, probabilmente era dedicato a Feronia, l'antica dea italica della fertilità protettrice dei boschi e delle messi.
Questo tempio, dall'aspetto piuttosto arcaico, poggia su un altissimo podio in tufo.
La pianta è circondata da colonne e le pareti della cella sono in mattoni.
Non si conosce esattamente quante colonne avesse sulla fronte, anche se probabilmente quattro o sei, mentre restano alcune basi di colonne sui lati.
A seguito di un incendio venne aggiunto un mosaico a tessere bianche e nere all'interno della cella del tempio.
Via via che gli strati pavimentali si alzavano, il podio sembrava più basso e ciò si confaceva alla predilezione in epoca repubblicana per podi meno sopraelevati.
Il tempio D è il più grande dei quattro e il terzo in ordine cronologico.
Si presume fosse dedicato ai Lares Permarini, i protettori degli equipaggi romani quando erano lontani da Roma.
Solo una parte di questo tempio è stata scoperta, restando la maggior parte sotto il piano stradale di via Florida.
La parte più antica del tempio è in opera cementizia e venne rifatta nel I secolo a.C. in travertino mentre la pianta è piuttosto arcaica, con una grande cella rettangolare preceduta da un pronao a sei colonne.
Oggi si vede solo il podio di travertino del I secolo, con le sagome non molto sporgenti, per un'altezza di circa tre metri.
A ovest, dietro i templi B e C, è visibile un grosso basamento di tufo che appartiene, ormai con certezza, alla base della Curia di Pompeo, cioè il luogo dove a volte si riunivano i senatori di Roma, reso celebre per l'uccisione qui avvenuta di Giulio Cesare.
E’ durante i lavori edilizi che interessarono il tempio B, che si ipotizza corrisponda all’ Aedes Fortunae Huiusce Diei cioè il tempio della Fortuna del giorno presente, che venne alla luce, ospitata all’interno della cella del tempio, la testa di una gigantesca statua di culto alta circa otto metri che rappresentava la divinità Fortuna.
Nella seguente foto è ritratto il momento del sollevamento della testa dopo il suo rinvenimento con la presenza di Antonio Muñoz.
Di questo grandioso acrolito, con testa e parti nude in marmo e i panneggi in bronzo, sono stati ritrovati, oltre alla testa alta da sola 1,46 metri, il braccio destro che doveva reggere nell’incavo una cornucopia, simbolo di abbondanza e fertilità, e i piedi.
I reperti sono databili al 101 a.C. in relazione con la data di fondazione del tempio e rappresentano una testimonianza importante della corrente classicistica del periodo.
L’opera è stata attribuita infatti a Skopas il Minore, artista greco attivo a Roma.
La testa imponente, il braccio e i piedi sono esposti nella Sala macchine del Museo della Centrale Montemartini e sono visitabili nei giorni di apertura.