Stefano Bonazzi - A bocca chiusa

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Quando Stefano Bonazzi mi ha inviato A bocca chiusa ho iniziato subito a leggerlo, senza riuscire a staccarmi da quella storia terribile che però aveva il potere ipnotico del baratro. Penso di averlo finito in una giornata o poco più e, una volta arrivata alla conclusione, mi sono ritrovata stordita. No, forse non proprio stordita, era più come stare ad occhi aperti in una stanza buia cercando di distinguere i contorni delle cose, ma sapendo di non avere la minima speranza di riuscirci.

La storia viene raccontata in prima persona del protagonista, un bambino di dieci anni che durante l’estate passa le sue giornate da solo con il nonno mentre mamma e nonna sono a lavoro, per molti di noi quest’evenienza potrebbe rappresentare un felice ricordo di infanzia, ma la vita è bastarda e non tutti hanno queste fortune; beh, di sicuro non il giovane protagonista di A bocca chiusa.

Il bambino, come dicevo, è costretto a passare le giornate con il nonno che, lontanissimo dall’essere una figura rassicurante, è invece un mostro di odio che riversa tutta la sua violenza sul piccolo e nel farlo è anche convinto di stargli impartendo un’imprescindibile educazione.

A bocca chiusa è un romanzo impietoso riguardo la genesi del male, arricchito da descrizioni vivide che trascinano il lettore nella storia. Ciò che viene narrato è tremendo, ma è impossibile distogliere lo sguardo; come il protagonista, rimaniamo immobili davanti alla brutalità e alla mostruosità nel tentativo di trovarvi un senso, lasciando però che quell’ orrore ci permei. La domanda che ci si pone riguarda la possibilità di rimanere integri nonostante un’infanzia del genere e l’autore risponde con implacabile sicurezza perché il male ha radici forti e quando affondano dentro di te è molto difficile liberarsene.

La scrittura di Bonazzi è del tipo capace di entrarti sottopelle grazie alla forza delle immagini – spesso molto sgradevoli- che evoca, è una prosa in cui si riscontra la necessità di mostrare in dettaglio quanto la storia narrata sia terribile. Devo ammettere che con me l’intento è riuscito: ho scrutato nell’abisso e l’abisso ha scrutato in me.